“A scopo cautelativo è fatto divieto di accesso e permanenza nelle frazioni di Monesi di Mendatica, Valcona Soprana, Valcona Sottana, Località Secae e Salse… l’ordinanza non trova applicazione per il personale comunale, Protezione Civile, Forze dell’ordine, personale di soccorso… 26 novembre 2016, il sindaco Piero Pelassa”. Un sabato di giugno, viaggio da cronisti di montagna a Monesi di Mendatica, Monesi di Triora e Piaggia nella vana attesa dell’Inviato speciale del Secolo XIX, lo storico quotidiano della Liguria. L’inviato in effetti è arrivato, ma si è fermato a Triora dove “nel paese delle streghe, la magia del sindaco uscente per 3 voti fa il bis e sconfigge Di Fazio che puntava sul turismo”. Qui, in quella Monesi di Triora che per prima ha scoperto il turismo delle Alpi Liguri, che negli anni 50 e fino a metà degli anni ’80 ha fatto da locomotiva economica e sociale, motore di sviluppo, di un’intera valle, sconfinando fino all’Alto Tanaro, ora c’è deserto, silenzio degli abissi. A poche centinaia di metri in linea d’aria, a Monesi di Mendatica, troviamo qualche audace visitatore che non si rassegna ai divieti, vuole vedere con i propri occhi.
Quassù l’inviato speciale non avrebbe riservato solo poche righe al ‘dramma dei drammi’, alle due Monesi ridotte una a cimitero senza salme, l’altra a desolante stazione turistica dove resiste una coppia alassina di albergatori – ristoratori che allarga le braccia: “Siamo soli, desolatamente soli, in questi palazzi ci sono una cinquantina di proprietari, se non hanno loro la forza di farsi sentire, noi siamo dei moscerini”. Alle soglie della transumanza sono arrivati i primi malgari nelle malghe dei fratelli Terenzio ed Enrico Toscano, brigaschi scapoli, proprietari della più estesa tenuta montana e terriera della Liguria, fino in Piemonte: oltre un milione e mezzo di metri quadrati. Nessuno sa ipotizzare cosa accadrà con la morte dei fratelli. Terenzio che viveva a Piaggia si è trasferito a Pieve di Teco ospite di una coppia di conoscenti e a chi l’ha incontrato dice: “Ripete che lui non tornerà più….”. Enrico dimora da sempre ad Alassio, dopo aver fatto anche il vaccaro nelle sue montagne, ha scoperto le bellezze e il fascino della Thailandia, dove con un mese di pensione si può soggiornare per mezz’anno.
Monesi che era diventata miniera, una risorsa e che negli anni delle maggiori traversie (morte dei Galleani e di Armando Lanteri e aggiungiamo Guido Lanteri) doveva essere tempestivamente supportata dalle istituzioni, dal sistema bancario ligure e piemontese. Era un patrimonio già acquisito, ma contrariamente ad una cava, ad una miniera, non aveva perso lo smalto ambientale, le opportunità di far turismo. Unica meta invernale della Liguria di Ponente, unica a disporre di una seggiovia seppure mutilata nella lunghezza e azzoppata nella stagione estiva. Una ‘fabbrica’ che avrebbe dovuto vedere interessati, coinvolti, uniti, tutti i comuni dell’imperiese, la Provincia, la Camera di commercio, la Regione, le associazioni di categoria, gli Industriali, i sindacati ed il sistema bancario che invece ha dilapidato miliardi prima e milioni poi per ‘foraggiare’ gli amici degli amici, aziende decotte ed operazioni speculative, fino a dilapidare i risparmi di tante famiglie, di investitori. Certo, la difesa (persa) del pastificio Agnesi era importante, quassù si andava oltre una proprietà, c’era e c’è il ‘bene comune’, crescita e benessere anti desertificazione.
Oggi il fardello delle rovine pesa umanamente sulle spalle del sindaco Piero Pelassa, artigiano andato in pensione dopo una vita di lavoro e che da il buon esempio nel fare. Nel suo paese natale ha aperto da un paio d’anni un ristorante bomboniera, ricco di legno pregiato e lavorato da papà, di muri a secco. Il suo pane è di farina di grano di Mendatica, macinato da un volontario nel mulino storico del Comune. L’apertura del locale manco a dirlo non ha fatto notizia come meritava, trucioli.it escluso. Sette, dieci posti a sedere, ai fornelli la mamma che conosce le antiche ricette mendaighine e della valle, c’è la sorella che per anni ha cucito camice per un grossista piemontese, cameriere ai tavoli Piero che coltiva un uliveto di famiglia in quel di Pornassio e l’olio extravergine è della casa. Una famiglia che ha creduto e crede nel futuro di Mendatica, anzichè fare proclami si è tirata su le maniche ha investito, tutti al lavoro nonostante le primavere. E per fortuna che in questi paesi di famiglie ‘eroiche’ ce ne sono ancora.
Sindaco in tempi di ‘disgrazie’. “Non voglio dare illusioni – dice il primo cittadino – , per ora non si parla di revoche di ordinanza di sgombero, presto inizieranno i sondaggi che hanno dovuto fare tutta la trafila burocratica, speriamo possano concludere in un paio di mesi e dopo il responso inizia l’iter dei lavori di consolidamento. Finora il Comune di Mendatica ha speso 570 mila euro in lavori di somma urgenza, finché si è potuto abbiamo anticipato, ora la cassa è prosciugata. Speriamo entro luglio di ricevere almeno il denaro speso. La Regione e la Provincia non ci hanno lasciati soli, ma l’impresa è titanica, non ci siamo solo noi. A Monesi occorre anche ripristinare l’acquedotto e la rete fognaria. Abbiamo per quanto di competenza ridotto l’Imu al 50 %, sospeso la tassa spazzatura e la bolletta dell’acqua. Speriamo che lo Stato acceleri al massimo e che tutte le persone di buona volontà continuino a darci una mano, ciò di cui non abbiamo bisogno sono le divisioni e le polemiche”.
E’ vero, sarebbe un errore rimuginare, rinvangare il passato. Serve semmai capire perchè ancora oggi Monesi di Triora e Monesi di Mendatica non meritano un ‘inviato speciale’, non meritano la prima pagina dei quotidiani, delle televisioni, siano esse pubbliche, che private. Il loro salutare accanimento mediatico. Questa non è una tragedia ‘cimiteriale’ per qualche centinaio di proprietari che qui hanno investito magari i risparmi, che qui sono legati dagli affetti e dal ricordo degli avi, che qui hanno trovato quel relax e qualità di vita che sono davvero un forte valore aggiunto. Questa è una sciagura che dovrebbe mobilitare tutti, senza essere dei talebani, perché Monesi è un patrimonio della comunità e che lasciamo ai nostri posteri.
Qui l’inviato speciale avrebbe appreso qualche brandello di speranza. A giorni finalmente inizieranno i primi sondaggi, l’appalto lo ha vinto una società genovese, due mesi di tempo e tutto sperano anche prima, per conoscere cosa riservano le ‘viscere’ della paleofrana di Monesi di Mendatica. Quella paleofrana la cui esistenza molti ignoravano, pure noi che quassù abbiamo vissuto da bambini la stagione della transumanza vera. Quella paleofrana che non ha impedito a tecnici del settore di progettare, dirigere lavori di palazzi, palazzine, ampliamenti, ristrutturazioni, lavori sulla strada provinciale 100. Anche loro ignari ed inconsapevoli del rischio, del pericolo ? Quei tecnici e diciamo quei professionisti della politica, pubblici amministratori, che magari ignoravano quanto ha lucidamente descritto uno dei primi ‘monesini’ che hanno comprato il ‘teccio’, Rinaldo Sartore, coraggioso e dinamico presidente dell’Associazione Monesi Borgo Antico, cittadino di Sanremo e che ha deciso di dimettersi.
Nello scorso numero di trucioli.it (l’articolo è stato letto da oltre 600 persone) Sartore ha messo a fuoco una situazione allucinante del perchè e come siamo arrivati a tanto: “...La foto mostra come tutta la superficie della frazione di Monesi sia stata flagellata, durante le piogge torrenziali, da una cascata d’acqua. La mancanza di drenaggio delle acque meteoriche può essere stata una concausa del disastro? È evidente che sia stata, quanto meno, un’aggravante. I terreni che oggi sono incolti, un tempo erano coltivati e assorbivano l’acqua piovana. Oggi le erbacce che ricoprono quei terreni si piegano sotto la pioggia a formare una sorta di tetti di paglia. Quasi tutta l’acqua delle piogge corre verso valle, supera la portata dei corsi d’acqua e travolge tutto ciò che trova sul suo cammino….”. Non ci interessano, sia chiaro, i capri espiatori, non ci interessa se la Procura della Repubblica di Imperia ha rilevato quantomeno i presupposti di un’indagine a carico di ignoti. Ci interessa capire perchè un tema così importante quale la tutela delle nostre montagne ‘abitate’ sia stato ignorato e sottovalutato, dalla politica, dall’informazione, dalla società civile.
E chi ha letto (da trucioli.it…….) sempre lo scorso numero, un altra testimonianza sconvolgente, accorata, dell’ex sindaco di Ormea dr. Gianfranco Benzo, dovrebbe chiedersi se alla fin fine non siamo tutti un po colpevoli di tanta ignavia, al punto che quella richiesta di aiuto, di intervento prima che sia troppo tardi, viene addirittura ignorata, nessuno risponde. In quel caso la Regione Piemonte, con gli assessori allora in carica (novembre 2011) Roberto Ravello, Claudio Sacchetto, ma neppure il prefetto di Cuneo. Le tivù nazionali ci ripropongono massicciamente le tragedie solo quando ci sono le catastrofi che fanno vittime. Più il alto il numero, più il megafono aumenta il volume. Bella e penosa consolazione.
Sartore e Benzo, rileggendo le loro lettere-denuncia, impongono una sconsolante riflessione. Qui sono dimenticati perchè non si sono contate fortunatamente le vittime ? E ai sindaci alluvionati di Briga Alta (con Piaggia), di Mendatica e della valle, non è ancora arrivato un centesimo neppure per i lavori di ‘somma urgenza’. Beati i titoli dei giornali, le locandine. Denaro che deve arrivare dallo Stato, tramite la Regione. “Abbiamo fatto i lavori finchè ci è stato possibile anticipare con i nostri fondi - ripete più di un sindaco -, poi ci siamo dovuti fermare”. E’ chiaro a tutti ? I soldi promessi ai Comuni alluvionati sono in itinere dal novembre scorso. La Liguria ha due ministri di peso, si direbbe, Difesa e Giustizia, ci sono i parlamentari. Conosciamo, però, quali sono le ‘ricette’. Senza il peso massimo dei mass media, se non si finisce sotto i riflettori, campa cavallo. Lo aveva detto chiaro e forte il sindaco di Pieve di Teco, geometra Alessandro Alessandri, un po’ al centro, un po’ a destra ed un po’ a sinistra. In occasione della prima ed unica riunione ‘oceanica’ di tutti gli alluvionati e non, proprietari di case a Monesi: “Se lasciamo spegnere i riflettori, addio ricostruzione e fondi pubblici, dobbiamo martellare, farci sentire….“. Come dargli torno !
E come ignorare cosa accade all’unico ristoratore di San Bernardo di Mendatica, terza generazione di un’attività (da Settimia) dove negli anni d’oro bisognava fare la fila per poter pranzare. Sbarrato Monesi, anche la strada che porta al Garezzo, per raggiungere Triora, Molini, le altre valli imperiesi, frequentata soprattutto da escursionisti in moto, bike, jeep, è bloccata. La Provincia di Imperia, dopo gli anni delle vacche grasse (brillava in Liguria per numero di dirigenti, ovviamente voluti dai soliti politici preoccupati del bene comune), è alla canna del gas in quanto a disponibilità finanziarie. I comunicati stampa della Regione raccontano di finanziamenti a destra e a manca. Se non si corre al capezzale di un malato grave, prima che sia terminale, se non si mobilità l’opinione pubblica all’emergenza, che fare ? La sorte di ‘Settimia’ non può interessare solo un ristoratore che ha avuto la sfortuna di trovarsi su quelle montagne negli anni sbagliati, è la sorte di una comunità, dei suoi giovani, gli uomini del domani. E fa male, tutto sommato, vedere che gli ‘inviati speciali’ corrono a Triora perchè il paese delle streghe fa notizia mentre gli altri soffrono. In attesa dell’inviato che racconti e ‘scavi’. In attesa di sapere quando sarà sistemata l’ex strada militare Monesi – Limone, messa in sicurezza due anni fa, aperta e raccontata dall’inviato speciale del Secolo XIX, oggi bloccata da smottamenti nel tratto imperiese e cuneese. Per il transito a motore si pagava un tiket, un movimento di turisti, vacanzieri, italiani e stranieri che dava lavoro alle valli sul versante ligure e a quello piemontese. Ora nessuno sa dire quando riaprirà.
Luciano Corrado
IL VIAGGIO FOTOGRAFICO NEL PARTE ORIENTALE DI MONESI DI MENDATICA