In un contesto sociale d’altri tempi insegnavano il rispetto di alcune figure di riferimento delle istituzioni civili, militari e religiose: il vescovo, il parroco, il sindaco, il comandante dei carabinieri, la maestra. La ‘dissacrazione’ di personalità pubbliche, l’erosione di ideali e di valori, il linguaggio televisivo scurrile, spesso intriso di insulti e bestemmie. I messaggi triviali sui social senza limiti, né ritegno, né freni inibitori. Che senso esporre alla berlina mediatica un vescovo, nel caso quello di Ventimiglia e Sanremo, mons. Antonio Suetta – origini a Loano, famiglia contadina, già parroco di Borgio Verezzi ed economo della Diocesi di Albenga Imperia, cofondatore di cooperative sociali imperiesi, un periodo da cappellano del carcere di Imperia -, ritenendolo colpevole di trascurare il centro storico (di Ventimiglia), di impoverire la cattedrale, di aver trasferito un sacerdote ritenuto “propulsore di cultura oltre che di fede, con benefici per tutta la città vecchia”. Un vescovo, salvo “errori &omissioni”, non può finire nella lista nera degli avversari. A meno che…
Non pretendiamo di ergerci a giudici, arbitri, pacieri, dispensatori di attestati del bene e nel male. Siamo soltanto vecchi cronisti ed osservatori. Non abbiamo la fortuna di vivere la realtà della diocesi ponentina, con le sue parrocchie, i suoi bisogni e problematiche. Neppure all’altezza di conoscere dall’interno la guida pastorale diocesana. Non siamo stati tra tifosi di don Suetta parroco e economo. Ha lasciato un’eredità, nella diocesi di Albenga ed Imperia, con un passivo di 6 milioni di euro che non ha certamente sottratto o distratto. E’ uscito abbastanza indenne da un’inchiesta giudiziaria sui fondi Caritas, ma è stato anche l’artefice del nuovo polo diocesano finanziato da un lascito che ha riunito, ad Albenga, 400 alunni tra elementari, medie e liceo. Con ampi spazi per attività giovanili, compreso un campo di calcetto.
Che cosa ha commesso di tanto grave agli occhi di alcuni ventimigliesi, presumibilmente una minoranza ? I media ne hanno dato conto nel rispetto del dovere – diritto di informare i lettori. Più difficile condividere la forma e la ricerca della pathos opera dei denigratori di fatto. Non era insomma una lettera di dissenso, un rimprovero bonario, una lamentela ammettiamo pure giustificata, l’attribuzione coram popolo di un premio di derisione. Che senso ha affidare ai media decisioni definite anche ‘piccanti’. Con tanto di Aringa salata del Sestiere Ciassa di Ventimiglia alta. assegnata “nientedimeno che al vescovo… che a giudizio dei residenti (sic e quanti ? ndr) e del Comitato organizzatore che ne ha raccolto e fatto propri i mugugni e forti malumori per il progressivo distacco dal centro storico e l’impoverimento della cattedrale, che con don Luca Salomone, trasferito a Bordighera, era tornata ad essere un grande centro propulsore di cultura oltre che di fede, con benefici per tutta la città di confine oltre che della città vecchia“.
E ancora: “Dopo il trasferimento della diocesi, decisa dal vescovo precedente monsignor Careggio, si sperava che con monsignor Suetta Ventimiglia tornasse ad avere comunque un ruolo centrale. Invece si è addirittura parlato della vendita del palazzo vescovile. anche se poi smentita…”.
Un’Aringa al merito è stata assegnata a Albertino Rebaudo, storico postino del centro medioevale ora trasferito ad altra località, per “essere stato per anni un prezioso punto di riferimento, sempre disponibile e premuroso con tutti, in particolare con i più anziani.” Un riconoscimento dunque meritatissimo che getta ancora più enfasi quando si mette a confronto con il trattamento riservato al tenace porporato. Ognuno ragiona con la propria testa in casa sua, ma quando si pretende di salire in cattedra e distribuire ‘pagelle’ collettive, motivi di opportunità, ‘di rispetto a cariche ecclesiastiche, civili e militari’, dovrebbe valere il ‘cum grano salis’. E comunque il malcontento di alcuni, condivisibile o meno, giustificato o meno, affidato pure ai mass via media, poteva e doveva avere uno sbocco assai meno spettacolare. Il disappunto, semmai, affidato ad altre forme aliene dalla strumentalizzazione, dal zampino in chiave politichese.
Ai fedeli praticanti poteva pure essere spiegato che cattedrali e diocesi in un futuro non lontano sono al centro di un piano di ristrutturazione che porterà ad abolire molte sedi vescovili, oggi in gran parte con confini anacronistici. Se si pensa, senza andare lontano, che quella di Sanremo – Ventimiglia ha due parrocchie montane in provincia di Cuneo. In Liguria si arriverà, è probabile, a tre diocesi: Genova, il Levante ed il Ponente. Oggi la provincia di Savona, per citare un caso, c’è la giurisdizione di tre vescovi, uno dei quali si spinge nell’imperiese.
Il vescovo Suetta ha una sua spiccata personalità. Non appartiene agli indecisionisti, ai pavidi, agli eterni indecisi. Quando era parroco a Borgio (anni duemila) decise che sarebbero stati esclusi dal sacramento della Cresima chi non frequentava il catechismo. Come dargli torto, eppure fioccarono le polemiche da stampa. “Non è un grande sacrificio rinunciare ad un’ora di tempo libero alla settimana”, dichiarò ai giornalisti.
A Ventimiglia e dintorni, nel novembre 2017, aveva ricevuto minacce neppure tanto velate. Forse episodi marginali che lui attribuì al fatto che “qualcuno era infastidito dalla presenza di troppe forze dell’ordine“. Una strategia mirata per destabilizzare la popolazione, costringendola a fare pressioni sulle istituzioni per arrivare all’obiettivo primario, svuotare la città di confine dai migranti, dai disperati della Terra. Un problema obiettivamente serio per chi – i cittadini – se lo trova ogni giorno per strada, sulle piazze, davanti ai portoni di casa, ai negozi. E che ha fatto tuttavia la fortuna elettorale di qualche forza politica nazionale, con ricadute locali. Il vescovo oggetto di lettere minatorie inviate pure al sindaco Enrico Ioculano, a don Rito Alvarez il prete dell’accoglienza, alla Caritas che tanto si è prodigata nella umana solidarietà sia dei ‘fratelli del terzo mondo’, sia di nostri connazionale, i diseredati.
Una diocesi, quella del vescovo Suetta, che su una novantina di sacerdoti, 21 sono stranieri o originari dall’estero, mentre sono una quindicina, sempre nell’area imperiese. quelli della diocesi del vescovo Borghetti. E nella maggior parte dei casi ‘presidiano’ parrocchie dell’entroterra montano, anzi più di una. spostandosi per strade non sempre agevoli da una località all’altra, spesso con la difficoltà di far convergere funzioni religiose come funerali, feste patronali, festività.
E se a Borgio don Suetta rifiutava le cresime, da vescovo ha firmato un decreto per regolamentare il fenomeno dei matrimoni fuori sede: “La chiesa non è un’agenzia”. Chiaro riferimento alla sempre più gettonata scelta di sposarsi al castello dei Doria di Dolceacqua, in spiaggia a Bordighera, a Villa Ormond a Sanremo, ovviamente nel caso delle nozze civili. Mentre chi sceglie il rito religioso è da Sant’Ampelio a Bordighera, la Madonna della Costa a Sanremo che si prestano a set cinematografici.
Il vescovo Suetta che nega la cattedrale per il popolare premio del San Segundin: “E’ una cerimonia civica inadatta a un contesto liturgico”. E il sindaco Ioculano, centro sinistra e prossimo ricandidato sindaco, a commentare: “Uno strappo che non condivido, una decisione molto grave per la città”. Si scrisse che era la risposta del vescovo al no del sindaco a un centro migranti della diocesi. Un’interferenza ? Se in passato i vescovi non hanno tenuto conto che un luogo sacro alla cristianità, al culto, non è idoneo distribuire ‘commende laiche’, Suetta doveva voltarsi dall’altra parte, venire meno alle sue prerogative ?
In questo contesto di ruoli inappropriati la recente bocciatura della ‘Ciassa‘ pone interrogativi di opportunità e di saggezza. L’associazione- comitato ha come presidente Nico Martinetto, candidato sindaco alle prossime comunali, il quale bontà sua non ha partecipato alla cerimonia della consegna degli attestati. Se si voleva colpire un bersaglio è molto probabile che ci si debba ricredere.
Il prelato che organi di stampa indicavano come possibile neo cardinale a Genova, sembra non temere più di tanto gli attacchi pubblici, dispiaciuto, ma determinato nelle sue decisioni. Nonostante giornali e locandine davanti alle edicole a sparare titoli: San Segundin, tutti (sic ! ndr) contro il vescovo. E ancora contro Suetta: “Associazioni e politica concordi: un gesto grave, che amareggia”. Tra i più scatenati in dichiarazioni stampa Nico Martinetto presidente: “Il vescovo si è tolto dal Comitato che designa il prestigioso premio ventimigliese e di negare anche per l’edizione 2017, ormai in dirittura d’arrivo, la sede storica della consegna. Che da 25 anni, da quando è stato istituito, avviene in cattedrale….”.
E il vescovo irremovibile e siamo pianamente d’accordo con lui: ” Il premio è civico e come tale deve essere consegnato in una sede diversa da una chiesa”. Magari ai più sfugge che viviamo già un’epoca in cui le chiese, anche durante le funzioni religiose sono il luogo di ogni sorta di dialogo, che si trasforma in vociare, chiasso si direbbe. Altro che raccoglimento ! E senza contegno, ritegno, spesso in abiti che lasciano a desiderare, tenendo conto che è un luogo di culto, preghiera, meditazione, somministrazione dei sacramenti, di liturgie. Il silenzio non è un lusso, un optional casuale. Un andazzo, una tolleranza, che non ha pari nei paesi nordici dove i cattolici sono minoranza. Non ha pari nelle moschee mussulmane, nei luoghi di culto induisti, nelle sinagoghe ebraiche. Un lassismo, il nostro, che non educa e non rispetta chi in chiesa non va per annoiarsi o distrarsi, per un’abitudine tramandata.
Monsignor Suetta che di fronte ai cortei popolari contro l’apertura di un centro di accoglienza per migranti minorenni, ragazzi senza genitori, molti orfani, non ha esitato a censurare la presenza tra i manifestanti di bambini: ” Protestare è un diritto, ma non usate i vostri figlioletti”. Si trovavano dietro lo striscione della Marina. L’ennesimo contrasto sfociato in articoli stampa e sui social. Iddio ci perdoni i commenti e condividi via Facebook, la discarica, in occasione del battesimo del figlioletto del capitano della Marina, Fabio Corradi, che aveva scelto la parrocchia del quartiere, ma il vescovo si è opposto: “La famiglia è residente ed abita a Camporosso”. Peraltro non è stata un’eccezione verso Corradi. Si aggiunga che la chiesa della Marina di San Giuseppe a Ventimiglia, non possiede la fonte battesimale. E Corradi: “La mia famiglia è originaria di quel borgo, io sono stato battezzato li così come il nostro primogenito, ero a conoscenza del decreto del vescovo, ma chiedevo una gentilezza. Non certo una scelta per motivi edonistici o di location.“. E aggiungeva: “Da presidente del Sestiere Marina ho donato alla chiesa il nostro vecchio gonfalone incorniciato in segno di forte legame riconoscendo il ruolo fondamentale della chiesetta nell’identità della Comunità stessa”.
Le regole sono regole, si ripete alla noia, e con le eccezione, a volte, si finisce nella scalpore generale. Accadde quando trucioli.it (nonostante il diniego dell’allora segretaria del vescovo di Savona – Noli, Domenico Calcagno, ora cardinale ed autorità in Vaticano) scopri che il monsignor non si trovava fuori diocesi per ‘esercizi spirituali‘ ma nel ‘rifugio’ delle Navette degli eredi del conte Federico Galleani. Un nipote, figlio del conte Ingo (il banchiere), aveva radunato pochi amici ristretti per celebrare nella ‘chiesetta’ della dimora del nonno la Santa Cresima del figlioletto. Alla quale seguì un banchetto, con agnellino del pastore Aldo Lo Manto, preparato alla brace. Tra i presenti Aldo Gasco, ex segretario della Dc ai tempi dei tavianei, papà di Roberta Gasco Mastella, un tempo stella politica in Liguria e oltre i confini regionali, maritata con il primogenito dell’on Clemente Mastella, giornalista, ex ministro, da anni esponente della scena politica nazionale, dal 2016 sindaco di Benevento. La moglie Alessandra Lonardo, eletta senatore nelle file di Forza Italia, all’epoca presidente del consiglio regionale della Campania.
Il vescovo loanese capace anche di scelte ad effetto, da notizia transnazionale. Grazie ad un accordo di buon vicinato, dal settembre scorso, il parroco di Airole e Olivetta don Pasquale Traetta e il vice parroco della concattedrale di San Siro a Sanremo don Claudio Fasulo, prestano servizio nell’arcidiocesi del Principato di Monaco, guidata dal vescovo Bernard Barsi. Don Pasquale opera a Saint Nicholas, quartiere di Fontvielle, don Claudio si occupa di scuole e scautismo. Un ruolo nella pastorale giovanile, nel più piccolo principato d’Europa, in vetta al benessere e all’agiatezza dei residenti, con molti stranieri cooptati grazie al robusto conto in banca. Sacerdoti imperiesi missionari di evangelizzazione per almeno cinque anni pur rimanendo incardinati nella diocesi d’origine. Un motivo d’orgoglio, almeno in questo, per le centinaia di frontalieri e pendolari dalla provincia di Imperia. E che nel Principato non hanno mai considerato migranti, pur bisognosi di un posto di lavoro che in Patria neppure la società capitalista del terzo millennio dopo Cristo è capace di creare. Vivit sub pectore vulnus.
Luciano Corrado