C’era una volta un medico specialista… Roberto Ravera, nel 1984, lasciò l’ospedale San Martino di Genova. Controcorrente si mise in proprio, rischiando. Inaugurò un centro di microchiurgia oculare – oftalmologico di diagnostica clinica e strumentale di chirurgia – ad Albenga. Nei locali della clinica Salus: famiglia Lazzaro Maria e Stefano Craviotto, entrambi medici, padre e figlio. Per Ravera e le malattie oculari fu un esordio innovativo: l’impianto di ‘cristallino artificiale’. Primo in Liguria. Pioniere della facoemulsificazione, tecnica chirurgica per l’estrazione di cataratta. Tanta strada, soddisfazioni, migliaia di pazienti, poi si è aperta anche una sorgente filantropica. Ravera missionario – oculista in Africa (Ghana) tra diseredati, malati e ciechi. Bimbi che riacquistano la gioia della vista, del gioco. Fine di un dramma per i genitori. Una calamita ‘vacanziera’ che lo attrae da 21 anni, gli ultimi due dedicati all’insegnamento. Un testamento inestimabile in ‘eredità’: ai figli Matteo, manager alla Ferrero di Alba, Edoardo e Vittoria. Una storia di vita da anonimato che trucioli.it scopre e racconta.
Liguria, regione della terza età. A fine settembre, a Genova, si è tenuto un corso di aggiornamento promosso dalla clinica oculistica dell’IRCC San Martino, per illustrare il rapporto tra invecchiamento della popolazione e malattie oculari. L’obiettivo è mantenere alto il grado di prevenzione e attenzione da parte dei cittadini, in particolare con l’avanzare degli anni, ma anche le difficoltà ai crescenti tagli imposti ai fondi della sanità regionale. Da qui il valore della prevenzione, ad iniziare dai medici di base. Sono state illustrate le più importanti malattie oculari invalidanti, correlate all’età e le problematiche cliniche: dalla medicina preventiva fino alla farmaco- economia.
Dr. Ravera, ha la fortuna di operare in una zona dove gli oculisti non sono inflazionati. E col suo curriculum di prestigio e affidabilità….
Direi che non è questione di numeri. Non mi appassionano, certo è curioso quando qualche paziente e non accade raramente, si lascia scappare ” dottore ho sentito dire che smette l’attività, si è ritirato all’estero “. O, gli scongiuri quando ascolto ” dottore gira voce che era mancato…”. Una sorpresa stonata, diciamo di colore, per chi ha 40 anni di laurea alle spalle e 37 anni fa ha aperto il suo primo studio, proprio a Loano, dove c’era un laboratorio di analisi gestito dal collega Arturo Germano. E poi appartengo alla categoria delle mosche bianche, di chi ha preferito lasciare il posto sicuro nella sanità pubblica e mettere in gioco i propri talenti. Una scommessa non da poco per gli addetti ai lavori. Con la laurea nel ’75, specializzazione in oftamologia nel ’79 e in chirurgia oculare nel 1982 alla Clinica Oculistica dell’Università di Genova, assistente alla Divisione oculista del San Martino dal 1974 al 1984. Ero con il prof. Antonio Grignolo. E nel 1984 il sogno, la gioia, del primo intervento di cataratta, con le nuove tecniche, alla Salus di Albenga. Nessuna esaltazione, ma neppure alla clinica oculistica si praticava l’intervento.
Nel Bel Paese di santi, poeti e navigatori se non si è figli di papà ….
Spero di non essere un’eccezione, si fa per dire. Papà, piemontese di Silvano d’Orba, famiglia umile e povera, come mamma, emigrò in Argentina nel 1948. Un boccia, poi muratore, in Sud America non ha trovato il paradiso terrestre. E’ tra quelli che è riuscito a far fortuna senza manna caduta dal cielo. E’ tornato in Italia nel periodo in cui l’edilizia iniziava il suo boom e ha messo a frutto quanto aveva raccolto.
Siamo in tema. Si è fatto un’ idea della pentola in ebollizione dei migranti, dell’accoglienza, di una certa demagogia non proprio strisciante. Come andrà a finire. C’è chi ricorda che gli italiani sono un popolo di migranti per eccellenza. I Liguri, i savonesi in Argentina, gli imperiesi in Francia. A nostra volta abbiamo ospitato, negli anni 50, gli immigrati del Sud, Sicilia, Campania, Puglia, qualche abbruzzese, veneti.
Diciamo che i migranti vanno accolti, devono avere un lavoro e non oziare. E’ utile che accettino le nostre leggi, i nostri valori fondanti la democrazia. Su questo non si dovrebbe transigere, tergiversare, lasciar correre. Con un atteggiamento fermo e coerente, dalla periferia a Roma. Creando le basi di un’integrazione intelligente, diritti e doveri, legalità e giustizia. Non è un problema di carità, ma di difesa della civiltà.
Ha ragione da vendere chi sostiene che dobbiamo preoccuparci dell’avvenire dei nostri giovani, dalla scuola al posto di lavoro ?
Mi limito ad osservare due aspetti . Non fissarsi guardando sempre il passato, ciò che eravamo prima. Ricordo che i contadini della piana albenganese quando venivano in studio, gli si illuminava il viso parlando con malcelato orgoglio del figlio e della figlia che si stava laureando, che frequentava l’Università. “Almeno non farà la nostra vita grama…”. Oggi la laurea non garantisce più la sicurezza del posto di lavoro. Importante è almeno un titolo di studio, secondo il vecchio e sempre attuale detto. E’ vero, abbiamo una scuola, in Italia, incapace di garantire, di indirizzare al lavoro, sempre alle prese con mille contraddizioni che si ripercuotono a catena sulla società civile, sulle famiglie e le più colpite sono le meno abbienti. Tutto ciò impone delle scelte: essere pronti ad andare all’estero, che significa anche Milano, Torino, piuttosto che Roma, Londra, Berlino. Ho una figlia laureata in medicina che si sta specializzando, è a Milano e spero prenderà lo scettro di papà. Un esempio calzante. Grazie al suo e al nostro impegno, avrà un futuro, ma occorre uscire presto, subito, dalla miopia che caratterizza strategie e obiettivi nel mondo scolastico da parte di chi governa. Sensibilizzare i giovani, i genitori a volte distratti dalle tante problematiche della vita quotidiana.
L’eterna crisi della scuola, incapace di prospettive, con gli insegnanti tra i meno pagati dell’europa comunitaria, paesi dell’est esclusi. Scuola, insegnanti, alunni, in un continuo saliscendi di riforme, controriforme. In perfetta simbiosi con la sanità ? Senza ignorare la scuola pubblica dell’obbligo dove classi con studenti immigrati creano, in molti casi, situazioni obiettive di difficoltà. Fomentando un reale malessere dei nostri connazionali. Come uscirne?
Non direi tutto male, né tutto bene. La sanità italiana, nel suo complesso, è di buona qualità. Non abbiamo nulla da invidiare ai cosiddetti paesi forti dell’Europa. In Italia, semmai, è il ‘sistema militarizzazione‘ a creare sconquassi. La pratica dei ‘medici comandati sul territorio’, degli ’ordini di servizio’, soldatini e svillaneggiati, con il contentino della libera professione. Uno ‘status’ deprimente, chi non si adegua è tagliato fuori. Vincono i signor sì, rispetto alle capacità professionali, alla dedizione come spirito di servizio, missione. Si parla tanto del vecchio medico di famiglia. Sanità alle prese con catene di interessi, gli uni armati contro gli altri. I politici, con qualche insignificante eccezione, hanno di fatto lastricato la reputazione sia dei medici, sia degli insegnanti. Mi considero tra i fortunati, ho vissuto la generazione del carisma dei medici. Altri tempi….
C’è un paziente…. difficile da dimenticare ?
Se vogliamo soddisfare la curiosità, c’è una pagina di cronaca rosa. Possiamo fare il nome di Gianfranco Funari, popolarissimo, anche in Riviera per la sua seconda casa a Boissano e Loano. Conduttore televisivo, opinionista e cabarettista, amava definirsi il giornalaio più famoso d’Italia. Tra noi si era creata un’amicizia, senza entrare peraltro in confidenza. Ricordo che l’avevo operato e ricevetti una telefonata. La segretaria mi informava che Funari voleva parlarmi con urgenza, pensai a possibili problemi post operatori. No, era arrabbiatissimo, era iniziata la Guerra in Iraq con l’intervento aereo e di terra degli Stati Uniti ed altre potenze occidentali.
E un nemico dichiarato ? Il dr. Ravera riflette qualche secondo, poi sorride. D’improvviso il volto si fa serio, corrucciato.
Purtroppo la Patria, la mia Patria ! Quando ho aperto il Centro Iatros ad Albenga, l’ambulatorio, la sala operatoria di chirurgia, a parte le spese non proprio da quattro lirette, c’era un complesso iter burocratico da seguire. Inizio andando agli uffici dell’allora Usl, ora Asl. L’impiegata addetta, successivamente assurta a personaggio di primo piano nel contesto politico ed amministrativo provinciale, fu davvero tranciante. Chiedevo se era possibile conoscere le linee di indirizzo per evitare errori progettuali e nell’esecuzione. Risposta: non è nostro compito dare suggerimenti, consigli e tanto meno pareri preventivi. Un’altra autorizzazione dipendeva dal sindaco ( lo dispensiamo dal fare il nome, lo diciamo noi, in quel periodo era Mariangelo Vio, del Pci, ora Pd, dal 1991 al 17 luglio ’93 ndr) che senza troppi fronzoli dice no. Mi rivolgo all’ufficiale sanitario, se ricordo bene il collega Franco Vairo. Ripeto, ero sempre più allarmato e preoccupato, impotente. Non sapevo più dove sbattere la testa, a chi chiedere consigli. Vairo fu esplicito: “non si può creare un precedente”. Neppure lui voleva firmare. Non restava che rivolgersi più in alto, al campo scientifico ed universitario. Fui confortato, assicurato sulle mie buone ragioni e pochi giorni dopo arrivò la benedetta firma. Questo, non per rinvangare il passato, fare il mestatore. Per dare un’idea delle difficoltà che incontra il cittadino nei rapporti con lo Stato, meglio la Patria. E credo di non appartenere al parassitismo, ai qualunquisti. Mettere a frutto esperienza, capacità. La malattia, le cure, la sofferenza, non sono optional.
Ci parli della sua esperienza in Africa.
Una delle più grandi soddisfazioni umane e morali della vita, dopo famiglia e lavoro. Il volontariato in missione umanitaria, da medico specialista. Sono 21 anni che dedico le vacanze al Ghana, in un ospedale vicino ad Accra, inizialmente sorto e gestito in toto da un padre Comboniano eccezionale. Direi che è un’esperienza che mi fa sentire orgoglioso e medico con la M maiuscola. Inizialmente eravamo in due e ci era stato segnalato appunto l’impegno del missionario italiano. Una zona di confine, tra l’altro, caratterizzata dal conflitto e dalla popolazione del Togo in fuga. I primi anni si operava giorno e notte. Mi sono sentito un chirurgo di guerra, come si legge nei libri e reportage dalle aree interessate da combattimenti, morti, feriti, prigionieri, disperazione, miseria, ingiustizie. I chirurghi di guerra scelgono chi curare, facendo la conta di chi si può salvare e chi no. Ci trovavamo di fronte ad una moltitudine di ciechi, con cataratta bilaterale. Centinaia e centinaia di bambini con cataratte congenite o traumatiche. Gente che ha vissuto o arrivava dalla giungla, immagini e ricordi sconvolgenti. E l’emozione, difficile da descrivere: il giorno dopo l’intervento chirurgico i piccoli pazienti potevano giocare, sorridere. Qui la professione medica offre sensazioni che lasciano il segno. L’infaticabile missionario, già malato, è mancato e la struttura ospedaliera è passata alla diocesi. Le cose sono cambiate, non proprio in meglio. Anche per questo da due anni mi dedico all’insegnamento, raggiungendo il Congo nell’ambito di un grande ospedale oftalmico. L’associazione italiana medici oculisti svolge un ruolo importantissimo, anche con la donazione delle apparecchiature. Da qui l’esigenza di ‘testarle’, quindi seguire almeno per 15 giorni corsi di addestramento per i medici operanti, sia teorici, sia pratici. Una supervisione utile e necessaria. Spero di continuare.
Sono molti i colleghi che hanno seguito o seguono il suo esempio ? Fa proseliti ?
Non so se interessi molto far sapere che mi sento un uomo libero, ho vissuto da indipendente e in Italia non per tutti pare sia un merito, un requisito di vera democrazia liberale. Mi viene in mente una frase ” cantare fuori dal coro “. Nella democrazia del Bel Paese è mancata la tradizione liberale anglosassone. Vorrei che non si portasse il cervello all’ammasso, si pensasse con la propria testa, isolati ma liberi se il caso. Lo ripeteva papà, lui che da muratore poverissimo ha raggiunto la scala alta del costruttore edile, proprio nella nostra Riviera. “E’ meglio avere a che fare con un delinquente che con un cretino”. Da cittadino sono tra le persone preoccupate, la generazione dei nostri figli starà peggio dei padri. Il benessere non è la ricchezza, c’è il ricco e c’è il benestante. I ricchi guadagnano cifre che spesso non riusciamo neppure ad immaginare, fortune immense. E’ la casta dei potenti della terra. La ricchezza in se non conta niente, se è povera di cultura, di buona qualità della vita. E’ una banalità, la cultura c’entra anche con l’alimentazione, con le scelte di vita.
Ho un ricordo da vecchio cronista. Il compianto prof. Luigi Bruni, a proposito di giudizi sui colleghi medici, pochi esclusi, ripeteva con forza “ingordi di denaro, ignoranti in farmacopea, incoerenti nei consigli, ti dicono non mangiare questo e quello, non bere, mentre loro fanno l’esatto contrario“.
L’ho conosciuto, era preparatissimo e senza peli sulla lingua. Vorrei evitare polemiche, giudizi. Il mio hobby, periodo in Africa escluso, è dedicarmi all’orto, alla natura. La vigna mi consente di bere il vino con la mia etichetta, così l’olio, le verdure, la frutta, trattati al minimo indispensabile. Ovviamente con un collaboratore.
E il dr. Ravera, in salotto, davanti alla Tv ?
Mi limito ai telegiornali e al calcio, tifoso della Juventus. Due giorni di riposo, sabato e domenica, cinque giorni di ambulatorio e sala operatoria.
Luciano Corrado