Il suo ultimo viaggio si è concluso nel paese natale che amava come le persone più a lui care. Romano Floccia, 80 anni, non ha forse ricevuto gli onori che avrebbe meritato da vivo dai suoi compaesani. Ma al funerale, in due tempi, a Imperia e Mendatica, è stato un bagno di folla, commozione, lacrime. Nei giorni del Triduo pasquale, le esequie funebri sono state celebrate dal vescovo Antonio Suetta. Una presenza inconsueta ai funerali di un uomo qualunque, un vero cristiano coerente. La fede granitica gli donava la forza d’animo di resistere ad una malattia che molti anni fa lasciava poche speranze. Invece si era stabilizzata con le cure degli specialisti di Genova, del Santa Corona, dell’ospedale di Imperia.
Per Romano, nel mesto giorno dell’addio, è arrivato un significativo gesto di riconoscenza e vicinanza, di un meritevole di fronte a Dio e agli uomini, con le esequie officiate dal presule che di Romano era stato parroco nella Colleggiata – concattedrale di San Giovanni Battista di Oneglia. Una chiesa affollata, la cantoria giovanile, tre concelebranti (senza il rito della Santa Messa per via della liturgia pasquale), il toccante e profondo ricordo, nell’omelia a lutto, del vescovo.
Il rito funebre della sepoltura nel camposanto di Mendatica tra paesani ed un gruppo di ‘angioletti’ radunato per la catechesi interparrochiale. Hanno salutato, con chitarra e canti delle voci bianche, un nonno, padre, marito, cristiano solare ed esemplare nel lungo percorso esistenziale. Apostolo laico ricco di bontà, umanità e sensibilità, in una società sempre più vittima del rancore, della corsa all’apparire, all’edonismo sfrenato, al potere materiale. Romano che sapeva essere contemporaneo tenendo viva la ‘memoria’ del proprio passato. E aver perso la caratteristica della ‘memoria’ è uno dei drammi dei nostri giorni, in cui si vive l’attimo fuggente, l’eco lontano del ‘carpe diem‘ oraziano, senza più radici.
Anche Romano incontrando il mendaghino ‘migrante’ aveva l’impressione di vivere ormai in un mondo sradicato dalle proprie origini, dalla propria storia di umiltà dignitosa, alla ricerca degli affetti, dei ricordi verso quel prossimo con cui sei cresciuto e per anni convissuto. A partire dalla storia della nostra Mendatica che abbiamo conosciuto povera e montanara. Nulla però lasciava prevedere un declino apparentemente inesorabile. E mai come in questi ultimi anni percorsa da una tremenda crisi economica ed esistenziale. Sempre più affidata a tenaci ‘guardiani’ che forse continuano a sperare nel ‘miracolo’, a presidiare confidando in un domani più generoso.
Il destino di Romano l’ha accompagnato fino alla ricorrenza di Pasqua, con Cristo che risorge per dare speranza, affinchè i giovani di oggi e di domani possano coltivare l’ottimismo della ragione, contrapposto all’odio crescente di chi si sente quasi escluso, si sente diverso da altri che raggiungono successo, ricchezza; appagati dai sacrifici di un diploma, una laurea, l’aiuto della famiglia che spesso significa grande spirito di abnegazione per accompagnare i figli all’onore del mondo.
Tra dolore, tensione umana, pathos, preghiere e canti sacri della cantoria parrocchiale, il vescovo Suetta ha descritto un inedito, ai più, Romano Floccia. Le opere di bene, di fraternità e solidarietà a Oneglia dove abitava, un lungo periodo a Loano per assistere, con amore, in famiglia, l’anziana suocera, – mamma di Maria Rosa donna esemplare, di fede e cultura. Romano testimone della durissima vita di montagna, dei ‘carbunin’, dei pastori transumanti, delle nonne e delle mamme alle prese con i disastri dell’ultima Grande Guerra, i mariti al fronte, i partigiani e i tedeschi in paese a darsi la caccia, a seminare morte e distruzione.
Romano che da giovanotto guidava il ‘Leoncino’ di papà Lisciandrin per la raccolta del latte nelle malghe delle Alpi Marittime e destinato ai caseifici di Imperia e Albenga. Romano che collaborava con la mamma e le tre ammirevoli sorelle, tutte in vita, nella conduzione di uno dei quattro negozi di alimentari allora aperti nel paese con oltre 600 anime, la scuola, l’asilo, tre macellerie, due forni per il pane. Tre fabbri e maniscalchi, persino un sarto, Giovanni Porro, poi dipendente comunale ed infine della Regione Liguria.
C’erano quattro calzolai: i fratelli Attilio e Ottavio Giusquiano, Giuseppe Ferrari, Giovanni Merano e Bartolomeo Sciandini. Due mugnai Giovanni Roggio e Alberto Manasse. Quattro falegnami, Antonio Porro, Maurizio Pelassa, Onorato Sciandini (ha sposato Emma secondogenita e sorella di Romano), Giobatta Floccia. Quattro muratori, Giuseppe Roggio, Francesco Porro (specialisti nei muri in pietra e a secco), Valentino Porro ed il garessino d’origine Armando Corrado che con Domenico Alberti, Giovanni Gandolfo, Genio Ascheri e Pietro Porro erano la cellula ‘segreta’
del Comitato di Liberazione. Armando sospettato e rinchiuso per una settimana nelle umide cantine del forte di Colle di Nava dove si ammalò di tubercolosi. Fu liberato perchè nessuno in paese lo tradì. Mendatica dei monti che contava su ben 11 musicisti per hobby: quattro fisarmonicisti (i fratelli Giuseppe e Giovanni Montebello, Bruno Giordano, Piero Porro che suonava anche l’organo della chiesa rimesso a nuovo con una raccolta popolare con il compianto don Giovanni Brunengo. Giovanni Porro suonava il mandolino, Giordano Modesto la chitarra come Giuseppe Ferrari, Mario Merano il violino. Si dirà, cosa c’entra questo elenco, al quale si potrebbero aggiungere altri nomi di mestieri d’altri tempi, con la morte di Romano. Lui era orgoglioso e nostalgico di quelle tradizioni, dei personaggi e non era difficile ascoltare: “Quando non ci saremo più nessuno potrà ricordare”. Restano, in qualche caso, le lapidi nel cimitero che racchiudono gloriose storie di civiltà contadina.
Non è un caso se negli ultimi giorni, a Romano capitava di parlare con i congiunti di
Americo, coetaneo mendaighino, che con papà Domizio erano addetti al trasporto del latte monti – mare. L’unico mezzo che fungeva pure da trasporto di persone dalle malghe estive a Mendatica, poi la corriera per Pieve di Teco. Romano è stato casellante all’Autofiori fino alla pensione. E il passatempo prediletto, al di là degli impegni nella comunità parrocchiale, era l’orto. Incluso quello di Mendatica dove ha vissuto un giorno più felice degli altri quando, con la figlia, il figlio, la moglie, i nipoti, ha potuto ‘inaugurare’ i lavori di una casa incompiuta della famiglia.
OMELIA E IL RICORDO DEL VESCOVO SUETTA – “Un grande amore – ha detto il vescovo – passa sempre attraverso gesti piccoli, autentici, con quotidianità e perseveranza. Lo stile di vita che il signore gli ha dato come dono e vocazione. Il sigillo di fedeltà ed obbedienza. E l’amore vero porta i segni della passione e della sofferenza. Quel sigillo che per Romano ha significato la coincidenza, nei giorni del Triduo pasquale, con il sacramento dell’Eucarestia, la lavanda dei piedi, il cammino di fede. Ognuno di noi che oggi è qui a salutare Romano ha un ricordo. Per me è stato uno dei primi in parrocchia e fino alla fine vicino al mio apostolato, Romano mi faceva sentire a casa. Lui che non esitava a fare un passo indietro alle tante occasioni in cui mi ha coinvolto. Era collaborativo e disponibile, dalle cose più semplici come il presepe, a fare il chierichetto all’altare o accolito in tante altre esperienze ecclesiali. Penso agli incontri prematrimoniali, ai gruppi di famiglia, alle Acli, alla comunità di San Vincenzo. Si prodigava senza mai togliere gli occhi alla sua casa, alla famiglia, era fiero di voi”.
“Romano Floccia che ‘oggi salutiamo – ha proseguito il vescovo – lascia una testimonianza luminosa, coinvolgente, contagiosa. Romano che passa da questo mondo al Padre con gli stessi passi che ha percorso nella vita, con una preparazione a questo incontro, con un privilegio che questo passaggio avvenga in modo candido, esemplare. Romano che nella fatica, nella sofferenza, nella malattia vedeva l’incontro con Dio. Romano persona disponibile, dolce, buona, ma ferma nelle sue convinzioni. Che sapeva dire una parola contraria quando non si trovava d’accordo e senza cedere. La mia gratitudine per averlo incontrato ed è la Pasqua più bella che ha vissuto nella sua esistenza, pur in un momento di dolore per una famiglia splendida”.
Il parroco del Collegiata dal settembre scorso, mons Ennio Bezzone, ha condiviso la partecipazione alle esequie di tanti fedeli, a dimostrazione di quanto sia importante, per la comunità parrocchiale, l’eredità morale e cristiana che lascia Romano. “Non lo dimenticheremo, pregheremo per lui e con lui. Siamo contenti che per la prima volta, da quando mi sono insediato, sia presente il vescovo Suetta e che ricevo con gioia”.
Dopo la morte il mondo continua. Il passato che brucia non potrà più essere ricostruito uguale. Romano è partito verso aldilà, perdiamo un testimone che ha attraversato gli anni più autentici della storia di Mendatica, senza retorica e pietismo. Chi crede o chi è ateo potrà convenire che la dimensione dello spirito continuerà a sopravvivere, proseguire il viaggio eterno. Accade, dicevamo, in una società alle prese, dicono sociologi, filosofi e studiosi dell’umanesimo, con risentimenti diffusi, aggressività, insofferenza, anzichè essere uniti nella collaborazione e nella solidarietà praticata. Odio quale patologia della volontà e della quotidianità. Con certa politica che aumenta, amplifica gli estremismi, fa leva sui ‘diversi’. Figli di un malcontento diffuso e popolare, soprattutto da parte delle generazioni giovanili in una recrudescenza conflittuale di razze, disuguaglianze, di ricchezza e povertà, senza un ‘Progetto Paese‘.
Romano cittadino mite e laborioso, rispettoso del prossimo e dei doveri, sensibile, quasi timido, ma fiero dei valori; apparteneva ad una generazione che ha insegnato, con le virtù della vita, a non odiare, a rispettare ed amare. Non è un caso se la diletta figlia, il genero, i nipoti hanno abbracciato il cammino di Comunione e Liberazione, movimento cattolico laico fondato dal sacerdote Luigi Giussani, nel 1954, nell’ambiente studentesco, per tornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali. La fede vissuta nella comunione è il fondamento dell’autentica liberazione dell’uomo. Una proposta di educazione che non finisce ad una certa età, ma continua, perché sempre si rinnova e sempre si approfondisce. E così è il cristianesimo: un’avventura della vita, e non una “preparazione” alla vita.
Lungo il tragitto terreno di Romano Floccia è racchiusa l’identità di un paese, del suo e del nostro paese. Una ricchezza morale, umana, che pare destinata all’oblio quando l’ultimo mendaighino di quella generazione chiuderà gli occhi per sempre.
Luciano Corrado