Una storia che a raccontarla ha dell’incredibile e del grottesco. Grida vergogna, senza vendetta ! Iniziamo dall’ultimo capitolo. A febbraio dello scorso anno ha chiuso la tipografia litografia ‘F.Stalla’ nata ad Alassio nel 1898 e nel 1946 trasferita ad Albenga. Nell’agosto del 2008 per celebrare i 110 di attività è stato dato alle stampe un libro di rara bellezza ‘Albenga tra le torri’. Nessuno ha scritto la notizia della chiusura. Neppure una breve o un annuncio della radio ingauna.
Un volume non solo testimonianza storica e fotografica per merito di due personalità della cultura locale: Eugenio Lertora, ex comandante dei vigili urbani e il prof. Gianni Ballabio. “Un atto di amore per la città…. la tipografia Stalla ha radici profonde“. Ebbene ha chiuso i battenti nel silenzio perfetto. Ignorata. In tanti lo sapevano, ma noi giornalisti tutti abbiamo ‘bucato’ colposamente il fatto, l’accaduto. Come non meritava. Pazienza, verrebbe da dire, per chi non abita ad Albenga, qui vivono professionisti della carta stampata in pensione, operano corrispondenti, collaboratori di giornali on line, una radio veterana nel mondo dell’informazione provinciale. Che dire del ‘divo’ e beniamino del copia e incolla Ivg.it ? Come non sentirsi in colpa e corresponsabili di ‘peccato grave’ per omessa diligenza e presenza sul territorio. E noi decani del giovane trucioli.it l’abbiamo saputo solo ora, casualmente, sempre convinti che la tipografia fosse operante. Anzi, piccola confidenza. Poco più di tre anni fa eravamo entrati per l’ultima volta alla ‘Stalla’, raccogliendo qualche spaccato della realtà. Ci eravamo riproposti di darne conto, come spieghiamo più avanti. Invece ha vinto il continuo rinvio, poco commendevole. Non da buon esempio del giornalismo attento e puntuale.
Atto secondo. Pochi giorni prima che della diffusione del libro (2008) Il Secolo XIX, con Raffaele Di Noia, collaboratore, pubblicava con significativo risalto: “Rischiano la distruzione le rotative della ‘Stalla. Un patrimonio potrebbe essere annientato dalla burocrazia. No del ministero anche alla creazione di un museo della tipografia”. La proposta dell’ultimo erede – proprietario, Giorgio De Andreis, originario di Diano Borello, laurea in lettere classiche all’Università di Genova – ha sposato Rosanna Stalla – era di destinare parte degli spazi dell’azienda di viale Martiri della Libertà a ‘museo della tipografica‘. Risposta negativa da Roma. L’Agenzia delle Entrate, per rientrare nei parametri richiesti dal Ministero delle Finanze, in perfetta miopia, non tiene conto dell’età dei macchinari, nè il valore storico che rappresentano. Bisognava portarle al macero, altrimenti vengono considerati come fossero ancora utilizzati e dunque produttori di reddito. In termini pratici, spiegava De Andreis, gli studi di settore impongono la distruzione di cimeli di valore inestimabile. Una perla per tutte, una Brilli – Ferrea del ’46, in Italia nè esistono ancora tre esemplari. Una Linotype attiva fino ad una decina di anni prima, tenuta solo ‘per affetto’.
La problematica, dopo quel servizio giornalistico, non si può immaginare fosse rimasta sconosciuta al mondo politico locale e provinciale, alle Amministrazioni comunali che si sono succedute con i sindaci Antonello Tabbò, Rosalia Guarnieri, Giorgio Cangiano, all’onorevole albenganese Franco Vazio alla sua seconda legislature con il Pd. Nessuno, mondo dell’informazione e trucioli incluso, si è preoccupato di seguire la sorte di quelle disposizioni assurde e della proposta di creare ad Albenga una nuova potenzialità museale. Salvaguardare e non disperdere, tramandare, autentici tesori. De Andreis non voleva denaro, avrebbe donato tutto il patrimonio storico di macchinari e caratteri, alcuni vecchi di 117 anni, ora acquistati (solo i caratteri) da Di Muro junior di Alassio.
Si aggiunga una altra ciliegina. La mancata demolizione di un fabbricato che rientrava nell’operazione di via Carloforte dell’impresa Giallombardo. Un immobile in disuso proprio accanto alla tipografia, con problemi vari, topi ed allagamenti inclusi e che l’impresa aveva acquistato nel 2005 impegnandosi a demolire entro l’anno successivo per trasferirne i volumi in via Carloforte dove avrebbe realizzato tre palazzine. La Cassazione ha però confermato l’edificazione di 39 alloggi in più rispetto al progetto originale, l’inadempienza nelle distanze minime tra confinanti, aumenti incondizionati di volumetrie e la realizzazione di box in eccesso; da qui l’acquisizione al patrimonio pubblico o la demolizione.
Ordinanze e diffide affinché l’impresa Giallombardo fosse adempiente verso la confinante tipografia sono cadute nel vuoto, tra ricorsi al Tar, Consiglio di Stato, cause davanti al giudice civile. Parcelle sonanti. Insomma altre delusioni, docce fredde, per chi portava avanti, con i dipendenti (al top oltre 15) dell’azienda artigianale Stalla sas. Impossibile citare tutti: qui sono stati stampati molti settimanali, mensili, periodici: da La Settimana Ligure, alla Nuova Liguria, a l’Alassino. A Notiziari di parrocchie e Comuni, aziende, enti pubblici e privati, una clientela fissa, da Finale ad Andora, compresa la Diocesi di Albenga e Imperia. Per decenni leader incontrastati nel ponente ligure e relativo entroterra, con una particolarità parte integrante del Dna e della statura morale dei fratelli Stalla. Non c’era odore di percentuali quando si doveva concorrere ad un appalto indetto da enti pubblici perlopiù Comuni, provincia, all’epoca Aziende di Soggiorno e Comunità Montane, Camera di Commercio. E nessuna indagine ha mai sfiorato l’azienda che pure ha vissuto momenti difficili con esposizioni bancarie per rimanere al passo con i tempi nell’acquisto delle attrezzature più costose. Almeno un paio di ultima generazione sono state cedute e finite in Spagna.
Giorgio De Andreis che al collaboratore del Secolo XIX sfogava tutta la sua amarezza e delusione, senza risultati. “Mi piange il cuore al solo pensiero di vedere distrutta l’attrezzatura più antica che ha rappresentato la rinascita dell’azienda nell’immediato dopoguerra. Un vero pezzo di storia e di tradizione della famiglia Stalla, del mio impegno. Sono qui dal 1976. Aveva conosciuto la moglie Rosanna, figlia di Bruno Stalla, durante il servizio militare. Ha imparato proprio alla scuola del papà Bruno, persona semplice e buona, ricca di iniziative e di umiltà, generoso, politicamente a sinistra nella mente e nelle sue azioni, morto nel 1998. Giorgio, dopo aver perso la consorte, è rimasto con l’unico figlio Paolo che alla tipografia, dopo la laurea, ha preferito vivere e lavorare a Londra in uno prestigioso studio di ingegneria, con un team di 200 ingegneri. Tra i mega progetti la stazione di Birmingham, appalto da 800 milioni di sterline.
De Andreis che al Secolo XIX faceva presente: “La soluzione del museo sarebbe quella ideale qui nella nostra sede ci sarebbero spazi adatti per farne un’esposizione permanente. E sarebbe una risorsa didattica eccezionale anche per gli studenti”. Possiamo testimoniare che non era raro negli anni in cui da giovani pubblicisti, con La Settimana Ligure e La Nuova Liguria (sostituirono Il Risveglio), frequentavamo settimanalmente la tipografia; non accadeva di rado dicevamo, trovare scolaresche in visita. Tutti affascinati da quel mondo, allora c’era il linotipista, i tipografi, l’utilizzo dei caratteri anche manualmente, impaginazione, addetti alle macchine per la stampa (da ultimo offset), la piegatura, il confezionamento del prodotto finito. Ancora De Andreis: “Tante scolaresche potrebbero vedere da vicino ed imparare meglio cosa è stata la stampa nel corso della storia recente. Un settore che ha conosciuto un ‘evoluzione eccezionale in pochi decenni. Doversi privare di una testimonianza così importante e qualificata sarebbe davvero un peccato”.
Che ha fatto la comunità con i suoi amministratori comunali, la società civile, giornalisti più o meno rampanti di questa provincia inclusi ? Hanno ignorato il ‘sogno’, appello, proposta. Pare addirittura che ci fosse la possibilità di trasferire almeno l’archivio storico dei caratteri (di fine ‘800) in una sala di Palazzo Oddo. De Andreis: “Non ho parole e non voglio commentare, né aprire la caccia ora che i buoi sono scappati dalle stalle”. Incapacità di produrre fatti….e inconcludenza. “Non sono tra chi ammira i litigiosi o fanatici. A ognuno il suo. Io avevo un’azienda e non avrei voluto che la ‘f.lli stalla sas’ finisse così.” E, si aggiunga pure, dimenticata dai più.
Nel biglietto da visita, oltre alla data di fondazione si leggeva: “Progettazione grafica, libri d’arte, depliants, cartoline, cataloghi, stampati commerciali, stampa digitale ed anche grandi formati”. E il dr. De Andreis, con la sua laurea in lettere antiche, faceva pure da correttore di bozze ai testi in latino e greco, alle pubblicazioni diocesane, ad esempio di monsignor Nicolò Palmarini. Biblista poliglotta che, oltre a lingue moderne, come francese, tedesco, inglese e spagnolo, parlava correntemente latino e greco antico, traduceva testi nella lingua di Cristo, l’Aramaico. Alla figura del vicario generale ed insegnante in Seminario, originario di Pietra Ligure, è intitolata l’Associazione culturale “Monsignor Niccolò Palmarini”. Sono decine, centinaia le pubblicazioni testimonianza di storia, cultura, arte, turismo, uscite dalla ‘Tipografia Stalla’.
Ignorare la sorte è stato un venir meno alla consapevolezza di aver disperso un punto di riferimento di grande valore sociale. Spesso si dimentica che la ricostruzione del passato viene descritta più efficacemente attraverso i mezzi che hanno permesso ai libri, ai testi, di narrare. La salvezza degli esemplari che custodiva la tipografia doveva esserne l’esempio. E l’unica cosa giusta era di salvare le ‘macchine storiche’, caratteri stampa e l’archivio delle pubblicazioni. C’è ancora una linotype e null’altro. “Sto sbarazzando le ultime cose” conclude De Andreis, senza disturbare alcuno.
IL LIBRO DEL 110 ANNI DI STORIA – Aveva radici profonde nel tessuto alassino albenganese la tipografia Stalla. Il capostipite Antonio fondò l’attività ad Alassio a fine 800. Di quella famiglia trucioli ha scritto intervistando il compianto avv. Claudio Bottelli (classe 1925), storico della Resistenza e del ruolo avuto dalla famiglia Stalla negli anni della dittatura fascista e della guerra. Antonio se ne è andato ad appena 49 anni, subentrarono i figli Libero, Virgilio e Bruno. Fratelli che sono rimasti fedeli all’eredità ideale del fondatore: simpatie socialiste, ai tempi del fascismo, sfociarono nell’incendio e nella distruzione delle attrezzature, le camice nere fecero il resto. Una lunga scena da film negli anni a seguire. Persino l’interruzione dell’attività, con i tre fratelli alle prese del servizio militare. Al loro ritorno lasciarono Alassio nella certezza che Albenga era un mercato più promettente, potevano ampliare gli spazi e si rivelò una scelta vincente. Al punto che uno degli autori del libro, Eugenio Lertora, conclude: “La tipolitografia Fratelli Stalla sarà un punto di riferimento per generazioni di Ingauni”.
Il 16 aprile del 1994 L’Alassino riportava la foto di Bruno Stalla al ristorante La Baita di Gazzo d’Arroscia (ora
chiuso, fondato nel 1885 sempre gestito dalla famiglia Ferrari) che festeggiava il suo 80° compleanno attorniato dai famigliari, dipendenti ed amici. Nella didascalia l’AVA alassina, nell’associarsi al coro di auguri, scriveva di essere “lieta di ospitare nelle pagine del giornale il benemerito Bruno, assieme al nipote Paolo in un felice connubio di continuità”. Il timone era già passato al suocero Giorgio.
Con quella affabilità che lo distingueva, Bruno ha continuato ha far ‘visita’ alla sua creatura, a tenersi informato, pur senza invadere più il campo. Era toccato a lui far fronte a momenti difficili conseguenti anche alla morte del fratello Libero (un figlio, Gualtiero ed una figlia), successioni ereditarie, immancabili incomprensioni, difficoltà da essere artigiani e di investire per resistere. Giorgio era entrato in azienda nel 1976 quando ad Alassio operavano la tipografia Pozzi ed Ardoino, ad Albenga rimangono le tipografie Bacchetta (ormai storica) e Ciuni. Nei locali di viale Martiri resistono le insegne esterne e la vecchissima Linotype fa bella mostra. E’ forse il caso di concludere che, suo malgrado, la Tipografia Stalla si è spenta nel silenzio e nella disattenzione dei più. In un mondo dove la memoria storica sembra rilegata nell’angolino, in disuso. Segno dell’effimero imperante e vincente, dell’apparire più che dell’essere, della corsa al potere materiale, a scapito soprattutto di molti valori esistenziali.
Luciano Corrado