La solitudine come scelta, la montagna come casa. Non c’è traccia negli archivi stampa e internet della leggendaria storia di Mario Pieroni che si è spento – 96 autunni – nella sua ultima dimora a Pieve di Teco. Dopo che vecchiaia e destino ingrato l’hanno costretto a lasciare l’antico rustico in pietra e mattoni, ristrutturato e adibito a ‘Locanda Valcona’ nella malga delle Secae di Mendatica, sulle Alpi Liguri, a 1241 slm. A pochi chilometri era sorta, per iniziativa dei banchieri Galleani di Alassio, Monesi di Triora con il suo albergo, ristorante, bar, sala giochi, seggiovia più lunga d’Italia, impianti da scii, pattinaggio su ghiaccio, tavola fredda e persino disco club. E a seguire edifici residenziali. Una formidabile locomotiva turistica, economica e sociale per l’Alta Valle Arroscia e Tanaro. Di cui beneficiava anche Monesi di Mendatica (tecci in pietra dei pastori venduti e trasformati in seconde case) e la vicina Piaggia, enclava cuneese e Comune di Briga Alta. Leggi anche: Angelo Ferrari, fac totum del Comune, in pensione dopo 35 anni. Un vuoto che non sarà facile colmare.
Nel 2007 i mass media si occuparono di Armando Sereno, morto a 87 anni nel 2009, conosciuto anche da molti savonesi, imperiesi, genovesi. Era il ‘re eremita di Valdinferno‘, protagonista di un toccante film documentario in bianco e nero realizzato dal cuneese Remo Schellino. Perchè non te ne vai anche tu ? Gli hanno chiesto. E lui: “Sono un eremita ma con tanti amici“. Un alpino che aveva fatto la ritirata in Russia e internato in un campo di concentramento. Tornò nella sua Val Tanaro non prima di aver rischiato la fucilazione a pochi chilometri da casa, dopo averne percorsi migliaia a piedi. Da allora non ha mai voluto abbandonare la sua baita, un vecchio seccatoio per castagne, ampliato con le sue mani pietra su pietra, che odorava di fumo e formaggio (vedi il video film con 46 mila visualizzazioni). E’ stato pastore e boscaiolo, con la morte del papà e del fratello ha sempre vissuto da solo.
Mario Pieroni non ha avuto tanta celebrità. Anzi. Da operaio toscano capocantiere, dopo il matrimonio ed un periodo da ambulante di frutta e verdura, si era dedicato via via al lavoro di ristoratore, ‘albergatore’, contadino, con la moglie Bianca (Maria) Bonfante nei panni di cuoca. Quante difficoltà. Non c’era luce elettrica, si ricorreva all’illuminazione a gas, lanterna, citilena. L’asfalto sull’unica strada arriverà qualche tempo dopo. D’inverno si spalava la neve. Mario e Maria restavano unici abitanti e rimanere isolati per giorni non era un’eccezione. Alle prese con il gelo, tubazioni artigianali, stufa a legna per riscaldare e cucinare. Il paese più vicino Briga Alta con tre negozi di alimentari, tre trattorie due locande, Tabacchi con edicola, Ufficio Postale, il Municipio, da Monesi di Mendatica si era trasferita la Guardia di Finanza di frontiera. Le scuole elementari frequentate dalle cinque figlie di Pieroni.
Una memoria storica di quei tempi, Angelo Ferrari, 35 anni da dipendente comunale, in pensione con 43 anni di contributi. Angelo, ragazzino, ricorda diversi aneddoti. Come la ‘visita’ alla Locanda Valcona del vescovo diocesano di Albenga Imperia, Raffaele De Giuli, accompagnato dal parroco cappellano dei pastori don Giuseppe Tassara. Ricorda la Sampdoria in serie A e l’Imperia calcio in ritiro alla ‘Locanda Valcona’, campo di allenamento i prati, escursioni e gite nella moderna Monesi che attirava turisti italiani e stranieri. Alla locanda Pieroni una clientela sempre più assidua dalla Riviera di Ponente, ma anche da Genova e Basso Piemonte. Nessuna citazione sulla guide gastronomiche, né sponsor sui media. Clienti golosi e soddisfatti della semplice e vera cucina casalinga, ricca di profumi di madre natura e di arte culinaria tradizionale della cuoca Maria. Conigli e galline dell’aia che cucinate da secondi piatti erano una bontà. Ravioli, gnocchi, taglierini preparati a mano con patate e grano di quei monti. Il sugo (u tuccu) di funghi porcini o prataioli, sanguigni che raccoglieva. Qualche volte lepre, capretto, agnello. Formaggi, brussu e quagliata dei pastori transumanti. Il dolce nostrano. Ricette antiche che si possono leggere sui libri, sui depliant e ancora assaporare grazie alla valorizzazione di ciò che resta della ‘cucina bianca’ alle prese con la produzione commerciale e la materia prima. Locanda Valcona meta di buongustai, ai tavoli dell’unica saletta si incontravano paesani delle vallate, professionisti e imprenditori della città, magistrati, politici.
Mamma Maria, donna semplice, intraprendente, persino intrigante, bravissima ai fornelli e tuttofare, metterà all’onore del mondo cinque figlie. Lei era figlia di Caterina Pelassa di Mendatica, il papà era invece di Rezzo.
I coniugi Pieroni, una coppia a prova di roccia, protagonisti di un’avventura che avrebbe meritato testimonianze e racconti quasi da fiaba: tramandare come eravamo, chi erano i nostri antenati nella malghe. Pagine di storia vissuta di quel territorio e della sua gente. Mario Pieroni non era di carattere facile, una corteccia di ferro, la sua apparente arroganza nascondeva la fierezza di chi si è guadagnava il pane ed accudiva la famiglia con sacrificio, sudore, senza giorni festivi e ferie. Ha ripudiato con la sua ‘civiltà’ e dignità i disvalori di certa ‘modernità’. Ha praticato cosa significava l’estrema resilienza e adattamento dei montanari. Ha lottato con le difficoltà, le traversie, rifuggendo sollazzi e divertimenti, senza conoscere agiatezza e ricerca della lussuria.
Qualcuno lo ricordava con la nomea dell’eremita, l’uomo dei lupi che per la scelta e convinzione non si allontanava mai dalla sua dimora, in simbiosi con la natura, tra monti incontaminati dove giungeva, con il turismo, la metamorfosi del benessere, delle comodità, del consumismo di cui però Pieroni non si sentiva coinvolto. Viveva nel suo mondo. Impegnato a dare un futuro alle figlie, aspirando ad una vecchia meno ingrata possibile. Mario Pieroni, a suo modo, un personaggio strano e ‘mistico’, affetto da un carattere rude e fiero, una cocciutaggine che lo rendevano perfino scontroso con gli ‘estranei’. Guai a scorrazzare nei suoi prati, non importa se fossero turisti e montanari delle vallate, dei paesi, magari in cerca di funghi e svago. La sua proprietà era sacra. Era alieno alle manie del protagonismo. ‘Condannato’ dal destino e dall’avanzare dell’età restare vedovo, a trasferirsi dalla figlia Graziella a Pieve di Teco, mai abbandonato dalle altre figlie Marinella, Franca, Rosa e Mariangela. Due avevano rilevato anche un Pub a Coldinava quando papà viveva ancora nel suo rustico. Non era il ‘Giardino dell’Eden’ , locanda chiusa in un un angolo remoto di Bella Italia dei monti e nell’immaginazione dei posteri. Con un suo montanaro che non sapeva arrendersi fino a diventare un volto e simbolo leggendario. Chissà se un giorno a targa ricorderà ai posteri: Questo edificio ha ospitato la mitica Locanda Valcona di Maria e Mario Pieroni.
ANGELO FERRARI, MENDAIGHINO, 35 ANNI DA IMPIEGATO COMUNALE –
Di tutt’altro taglio giornalistico la notizia del pensionamento di una figura simbolo di dipendente comunale, da encomio solenne finora mancato, purtroppo senza eco nelle cronache locali rispetto a quanto accade in Riviera e spesso in altri comuni grandi e piccoli di cui anche trucioli ha dato conto. Per questo ci sentiamo, a nostra volta, in colpa da mendaighini e giornalista. Non meritava il silenzio.
Angelo Ferrari che ha servito, con esemplare spirito di servizio, il paese natio: impiegato modello, diligente, preparato, indossava a seconda delle circostanze la divisa del vigile urbano o da idraulico, cantoniere, operaio, assistenze sociale, spalatore di neve e in chiesa nella corale. Altruista, disponibile, servizievole in orario di lavoro e quando non era in servizio, vicino alle persone più anziane e bisognose. Per il Municipio di Mendatica una grave perdita non solo per la sua memoria storica del paese, dei proprietari di seconde case, buon conoscitore dell’esteso territorio comunale con le sue malghe e le sue problematiche gestionali. Un Ferrari che non sarà facile farne una copia.
Angelo persona silenziosa in una società che non brilla per riconoscenza e sgomitare è pratica diffusa. Lui che non operava per mettersi in luce o mirava nell’agone politico ed esibizionista. Un servitore della dignità e della comunità. Capace di tenere per se, con la modestia che lo caratterizza, dispiaceri ed amarezze. Un marito e padre saggio che da dipendente comunale ha sofferto e gioito, praticando l’ascolto. Trucioli.it ha scritto (il 10 novembre 2016, vedi……..con 1964 visualizzazioni), a firma di Emidia Lantrua, insegnante delle medie in pensione, quando la figlia Maria conseguì il dottorato, 110 e lode, in Economia Marittima. Studentessa montanara con la aspirazione di ‘management marittimo e portuale’. Il fratello Sergio diploma di perito industriale. Mamma Rosella, un cuore gonfio di speranze per i suoi ‘ragazzi’, il loro avvenire, quando un giorno, speriamo lontano, resteranno memori di genitori modello.
Nulla a che spartire con in gran ballo dei tanti cialtroni appagati da passerelle televisive. In un comunità, un territorio che senza essere da fiaba, racconta il dominio della Repubblica di Genova, poi del Regno di Sardegna e dal 1861 del Regno d’Italia. In origine donato ai Marchesi di Clavesana (anno 1000). Mendatica antica eretta dopo che i Longobardi distrussero Albenga spingendo la popolazione a rifugiarsi sulle Alpi Liguri. Da allora quante pagine di storia, quante figure e simboli che non andrebbero dimenticati per meriti. Restano le lapidi nel camposanto, le tradizioni e ricorrenze religiose: i SS Nazario e Celso, San Rocco, Santa Caterina d’ Alessandria, il ritorno della Confraternita.
San Giovanni, 24 giugno, era il giorno riservato al ripristino delle strade che conducevano alla malghe e collaboravano tutti gli uomini validi con un caposquadra. Il 3-4-5 maggio si facevano le ‘rogazioni’ con preghiere per la benedizione delle campagne e i buoni raccolti nelle zone più produttive del paese: Santa Margherita, Canalette, Sant’Antonio. Il mercoledì, giovedì e venerdì della Settimana pasquale, a sera, si cantavano gli Uffizi e alla fine i ‘garzui’ suonavano i corni. Il Venerdì Santo i viaggi di penitenza. Si partiva al mattino presto, 4, 5 al massimo, e dato che le campane non suonavano la sveglia era affidata al caratteristico ticchettio gracchiante della Taramasca. Il parroco partiva dalla chiesa parrocchiale arrivava alla Madonna dei Colombi e da qui a San Salvatore, in fondo al paese. Si proseguiva per Santa Margherita, quindi San Rocco in cima al paese. La Madonna dei Colombi si festeggiava tre volte l’anno. Comune, Ospedale, Ente Comunale di Assistenza e Opera Roggio ( dall’omonimo prete Prea Roggio) mettevava in vendita, con bando pubblico sul piazzale della chiesa, i frutti di castagno ed il fieno, si davano in affitto i prati. I beni dell’Opera Roggio erano amministrati dal Comune, metà del ricavato consegnati alla Chiesa per tante Messe in onore dei defunti. E buon ultimo, la Fiera di San Matteo, ai nostri giorni trasformata in platea teatrale del divertimento, esibizioni per attrarre visitatori e visibilità mediatica. In altri tempi, fino agli anni ’50, era molto importante perché coincideva con la discesa del bestiame e dei tanti pastori dalle Alpi e dalla malghe. Una grande fiera come ancora si trovano in talune località campestri.
Mendatica dei 33 cognomi e 95 soprannomi che distinguevano gli antichi ceppi famigliari. Buono parte si sono estinti. E per i nostri morti “i primi trei giurni de nuvembre tutti i discevan u rusaiu e pregavan”. Lontane usanze narrate con la civiltà tecnologica e da tramandare ai posteri con l’archivio internet. E ai giovani in dura lotta di sopravvivenza non solo buone parole, pacche sulle spalle. In una società che consuma come una candela tutti i valori portanti di una secolare identità e una felicità sempre più effimera, servono prospettive della ragione, senza essere animati da pregiudizi e cullarsi con la fantasia.
Luciano Corrado