Un personaggio pittoresco e schivo nella zona riservata alla ‘pesca artigianale’ del porto turistico di Loano. La passione inossidabile per il mare. Enzo (Enzino) Libroia, pescatore solitario di 70 anni, dal 1978. Immigrato a 17 anni a Borghetto S. Spirito con il boom dell’edilizia, ha imparato mestiere del piastrellista, poi la crisi e un posto di lavoro a Cairo Montenotte, da pendolare. E’ padre di due figli: il maschio ingegnere informatico al Campus Universitario di Savona (si occupa di meteo), la figlia occupata in un’impresa di pulizie. Le acciughe del Mar Ligure ? “Non ci sono….non ne pesco da sei, sette anni…..sul mercato arrivano che vada bene dall’Alto Tirreno, dal Mideterraneo, dalla Spagna e dalla Francia….”.
Eppure ha una fede e convinzione ferrea: “Sarò pure di un altro mondo, ma dobbiamo sopravvivere con il pesce selvatico, con quello che ci da la natura. Certo, in Italia è ancora più difficile, sparisce l’eredità della piccola pesca”. Sono rimasti in pochi, il reddito è un rebus, le condizioni meteo imprevedibili, i giovani pescatori ormai una rarità.
Enzo trascorre la sua terza età dopo aver scelto la pesca come ragione di vita, con un gozzo degli storici (ed ormai ex) cantieri Sciallino di Ceriale. Il mare ha una importanza notevole del suo diario, abitudine. Cala i tremagli (reti da posta) e vive il mestiere che ha ispirato poeti e pittori, narratori, in armonia con la natura. Passa molto tempo a sperimentare nuovi metodi di pesca e nuovi attrezzi, cucendo con arte, personalmente, le sue reti. E riparandosi dal sole con una ‘banda colorata fai da te’. Ammirato ed interrogato dai curiosi, dai turisti che lo fotografano all’opera, nella sua magica arte ed atmosfera.
Tra i colleghi e i frequentatori della zona ‘mercato del pesce’ è apprezzato e ricco di umanità e semplicità. Carico di ricordi e nostalgia dei bei tempi. Uno che vive costantemente e conosce l’ambiente marinaro e peschereccio loanese in armonia con gli altri pescatori. Quotidianamente, con la sua vecchia bicicletta pedala da casa sua, a Borghetto Santo Spirito, al porto di Loano. Quando le giornate lo permettono arriva con il buio o all’alba, esce in mare, vende il pescato, torna, con pedalata lenta ma costante, per pranzare. Un pescatore per vocazione che ama il mare e rispetta la natura.
Signor Enzo capita di leggere, sui banchi dei mercati del pesce o nel menù dei ristoranti: “Acciughe del Mar Ligure....”. “Ripeto, io non ne pesco da tempo perchè non ce ne sono, e se ci fossero del Mar Ligure arriverebbero soprattutto dai mercati del pesce di Imperia, Savona….Semmai si pesca qualcosa nell’Alto Tirreno, ma l’acciugaa del nostro mare è assai più pregiata e gustosa…..resta un fiore all’occhiello per chi ha buona palato e da intenditore”. Loano che lungo la sua fascia costiera centrale ha creato negli anni ’80 una zona di ripopolamento e ‘riserva’ con i Fondi della Comunità Europea. Il commento testimonianza di Enzino: “Diciamo che il controllo anti abusi e abusivi non è il massimo, purtroppo, siamo in Italia e sappiamo come vanno le cose. I benefici ? Diciamo che si può pescare scorfano, aragostine, dentice, pagaro, oratine….Io, per onestà, nella ‘riserva’ non mi sono mai addentrato. Come non pratico la pesca al traino…diciamo che i disonesti non mancano nonostante nel porto di Loano ci sia il comando della Guardia Costiera, la Capitaneria di Porto. E le barche quando attraccano operano alla luce del sole, comunque non sono fatti miei, ognuno si arrangia come può”.
Gian Riccardo Ferrari (nella foto) una vita da bancario, ora pensionato, frequentatore del porto, anima della benemerita ‘Associazione Pescatori Sportivi La Bussola’ ( nel 2014 l’associazione e il Comune hanno sottoscritto il “Codice di Condotta Pesca e Ambiente”, con il quale i pescatori si impegnano a mantenere durante la loro attività un comportamento in linea con i principi di tutela dell’ambiente), è autore del libro “Una arbanella di acciughe” e il ricavato destinato all’Associazione ‘DopoDomani Onlus‘ di Loano quale contributo per realizzare il progetto ‘Villa Amica…per il DopoDomani’.
La cucina ligure, ricorda la prefazione, con la sua cultura secolare delle acciughe del nostro mare. “Un mare che soffre – scriveva nel 2013, dopo aver dato alle stampe altri due libri del territorio: Profumo d’Arziglio, Il Branzino e l’origano – , l’inquinamento che avanza, le coste sempre più aggredite dal cemento, l’erosione continua ad assottigliare le spiagge, ma il pescatore continua ad alzarsi all’alba, calare le proprie reti ed attendere ancora una volta che il mare gli offra la possibilità di vivere onestamente del proprio lavoro, nella bellissima natura che lo circonda”. Loano che a protezione delle spiagge è stata precursore della diga soffolta (qualche problema di manutenzione continua a darlo, alla stregua di qualche suo limite). Loano precursore, con Borghetto S. Spirito, della depurazione delle acque nere che si è poi estesa ad un vasto comprensorio, da ultimo parte di Albenga, fino a Borgio Verezzi.
A proposito delle acciughe del Mar Ligure, Riccardo Ferrari, ‘docente nelle visite di scolaresche che arrivano anche da fuori regione (per la presenza delle Colonie Milanesi a Pietra Ligure) può raccontare senza conflitti di interesse: “Acciughe nel ponente savonese non se ne pescano più’ da anni ed i motivi sono molteplici: non vi sono più nella flotta peschereccia del savonese pescherecci con le lampare (gozzi dotati di grandi luci che servivano per attrarre, incuriosire i branchi di acciughe). In larga parte il quantitativo di acciughe si è più che dimezzato. C’è chi sostiene che il divieto di pesca al tonno rosso imposto dalla Comunità Europea ha fatto si che il tonno, come specie, sia più’ che triplicato. Il tonno è grande divoratore di pesce azzurro, e quando andiamo in mare con i nostri gozzi possiamo osservare che vi sono molti branchi di tonni, ad una distanza da terra che si avvicina alle tre-quattro miglia marine”.
Acciughe che arrivano dal Levante Ligure, che c’è di vero ? Ferrari: “Nella flotta peschereccia di Levante della Liguria alcune barche fanno ancora la pesca delle acciughe ma mi dicono diversi pescatori professionisti che le “cale”, pescate , si riducono a poche decine, raramente centinaia di casse di pescato e le zone di pesca sfruttate arrivano fino al largo di Livorno. I prezzi sono relativamente alti rispetto al pescato, perché essendovi poche acciughe il prezzo aumenta, mi pare sia una regola del mercato. A volte si vedono sui banchi delle pescherie acciughe che provengono dall’Adriatico, pescate e spedite ai mercati all’ingrosso, e i buongustai sanno che non sono come le acciughe dell’alto Tirreno. Si vedono in esposizione anche acciughe spagnole, magari a prezzi competitivi…..ho molti dubbi sui trattamenti chimici… Nelle sagre, e ne ho organizzato molte negli anni passati, il prodotto fritto e cucinato in altri modi è buono ma non nostrano. Una volta i vecchi dicevano che le acciughe migliori del mondo erano quelle di Monterosso (famoso il Bagnun di acciughe).. Purtroppo ci dobbiamo adeguare ai cambiamenti alimentari e non solo, i cambiamenti climatici stanno producendo dei danni immani e l’uomo “industriale” pensa al profitto senza capire che la natura è stanca ed il nostro futuro è nelle nostre mani…”.
IL PESCE E’ MUTO – Il pesce, si sa, è per definizione muto. Ma se potesse parlare avremmo la conferma che non ‘parla’ più ligure, nè italiano. La flotta peschereccia, in Italia, è ridotta a 12 mila imbarcazioni e le importazioni di pesce crescono di pari passo con l’aumento dei consumi. Compresi prodotti congelati, essiccati, con la Spagna, Paesi Bassi e Grecia sul podio degli esportatori, mentre il 40 per cento arriva da paesi extra Ue. Al primo posto ci sono seppie e calamari, poi conserve di tonno e gamberetti. Con molti ‘inganni’ in agguato al ristorante dove si consuma il 50 per cento del pesce che contrariamente a pescherie e supermercati non solo obbligati ad indicare il mare e la zona di provenienza, solo se fresco o meno. Non c’è etichetta d’origine sui menù e sono davvero una rarità chi nella ‘carta del pesce’ riportano la verità. Il ‘nostrano’ manco a dirlo a prezzi non alla portate di tutte le tasche. Che poi del congelato spacciato per fresco. basti pensare al pangasio del Mekong (Cina) venduto come cernia, il polpo del Vietnam spacciato del nostro mare. E potremmo continuare anche sulla qualità del pesce d’allevamento dove c’è una differenza nel mangime e nel prezzo, con consumatori ignori al ristorante o in pescheria.
IL FERMO PESCA – Per scongiurare lo spopolamento del Mediterraneo e in Liguria ci siamo assai vicini (ci riforniscono Francia e Spagna) la prima risposta è stata il fermo pesca, riducendo la quantità di pescato. Quindi si è passati agli incentivi alla rottamazione dei pescherecci. Ma l’obiettivo della sostenibilità ambientale non è stato raggiunto. Importante sarebbe l’educazione a tavola e l’informazione corretta contro le mode dilaganti. Anche il pescato nostrano ha le sue stagionalità e pochi ne sono correttamente informati. La Riviera che attraeva consumatori ed abituè con la specialità dei bianchetti, da anni vietati. Ora ci sono i rossetti del levante ligure e della Toscana, ma lo scorso anno il prezzo al banco non è sceso sotto i 60 euro il chilo, fino a punte di 87 nel periodo delle festività natalizie e di fine anno. Un vero lusso a tavola e al ristorante che è di pochi.
IL BOOM ACQUACOLTURA E PRIMI ALLEVATORI DI TROTE – Oggi si calcola che la produzione raggiunga le 140 mila tonnellate ed il 50 per cento arriva all’importazione. Possiamo vantare alcuni primati europei: primi produttori di trote, secondi al mondo per il caviale dopo la Cina. Importante in questi casi avere una cognizione della qualità dei mangimi utilizzati ed il rispetto delle regole, i controlli rigorosi. Sarebbe un grosso traguardo far rivivere la pesca artigianale lavorando sulla cultura del consumatore già quando è in età scolastica. Occorre far apprezzare il valore qualitativo e nutritivo del pesce povero tanto consumato dai nostri antenati, tipo sugarelli, lanzardi simile allo sgombro, invece tutti vogliono branzino, orata, sogliole, meglio se sfilettati. E ancora un cenno ai ‘parchi marini’ che vanno interdetti anche al turismo subacqueo. Il fermo è per gli ‘strascichi’ che operano dai 60 metri in su di fondo, mentre le zone da salvaguardare sono quelle dove ci sono posidonia e roccia viva. Già la posidonia che importantissimo baluardo all’erosione delle spiagge e che si distrugge con ripascimenti indiscriminati, ma quasi nessuno ne parla e conosce realmente come stanno le cose. Disinformati, tanto per cambiare. (L.Cor.)