In prima pagina, nella colonna di apertura del giornale che spesso occupa l’editoriale. Il settimanale d’informazione della Riviera dei Fiori e della Costa Azzurra, La Riviera, il più diffuso ed autorevole del ponente, riporta nel titolo: ‘Le scuse al Pm. Si chiude dopo 10 anni il processo La Riviera – Maffeo’. Nel testo dell’articolo che riproduciamo a completezza di informazione, si legge: “Come emerse successivamente innanzi al Consiglio Superiore della Magistratura non si trattava di messaggi hard e neppure di una successione ossessiva di messaggi contenenti avance sessuali. I nostri articoli non erano così espliciti, ma potevano lasciare intendere che così fosse. Lo chiariamo in questa sede e riteniamo sia il caso di scusarci con il dottor Maffeo”.
Piccolo particolare non proprio secondario: chi scriveva gli articoli, per i quali c’era stata la condanna in primo grado, non ha mai ritenuto doveroso ascoltare all’epoca la versione del magistrato che, come trucioli.it documentava, era finito nel ‘tritatutto’ di alcuni media mentre indagava pure sui Pizzimbone e dintorni, su discariche, inquinamento. Giornalisti che si fecero strumenti inconsapevoli di chi vedeva nel giudice Maffeo un nemico da abbattere ? E in buona parte ci sono forse riusciti. Non alludiamo soltanto delle conseguenze sulla salute che non è poco anche per un marito ed un padre. Che, si potrebbe dire, ha resistito pagando un prezzo umano e professionale da ‘non augurare al mio nemico’.
Uno dei fratelli Pizzimbone, Pier Paolo, nel luglio scorso, ha patteggiato la pena di un anno, undici mesi e 26 giorni di reclusione e 1000 euro di multa per estorsione aggravata (tentata e consumata), con la sospensione condizionale, nell’ambito del procedimento penale relativo all’inchiesta sui rifiuti ad Alassio. All’epoca del ‘caso Maffeo – La Riviera‘ si era scatenato uno scontro durissimo sull’attività dei Pizzimbone e scoop mediatici con l’amministratore della EcoImperia, contitolare della discarica Ponticelli ma anche vice presidente della Croce D’Oro di Cervo e Imperia, agli onori della cronaca rosa per una relazione con Barbara D’Urso e che inaugurò nell’imperiese i Circoli di Dell’Utri, avversati peraltro dall’allora on. Claudio Scajola.
Pizzimbone è stato parlamentare eletto in un collegio della Sicilia, da ultimo un esponente di Fratelli d’Italia, commissario provinciale a Savona. Le cronache lo descrivono impegnato nelle trattative per le comunali di Ceriale, abituèe negli uffici comunali di sindaco ed assessori di Alassio. E oggi non ha difficoltà ad accompagnarsi con qualche vice sindaco in carica nella Baia del Sole.
Ma il processo per diffamazione a La Riviera traeva origine dal clima e da uno scontro all’interno della Procura della Repubblica di Imperia. Quella che nell’articolo delle scuse a Maffeo e ritiro della querela prima del giudizio della Corte d’appello di Torino, viene indicata come “una forte contrapposizione che in quegli anni regnava tra alcuni magistrati…in particolare il dottor e una collega. Alcuni nostri articoli si basarono sulla natura di sms inviati da Maffeo. Scrivemmo, evidentemente forzandone l’interpretazione, di contenuti inequivocabili e di avance non gradite che furono poi alla base di una denuncia al Csm”. E che vedevano quale accusatrice un altro magistrato.
Cosa emerse nel merito dei fatti ? Riporta l’articolo de La Riviera: “In effetti non si trattava di messaggi hard e neppure avance sessuali…ma l’aver indagato, con toni eccessivi una vicenda umana, legata ad un ambito professionale, ci distolse dal contesto in cui questa era maturata e si era alimentata” (indagini nell’allora potente pianeta dei fratelli Pizzimbone e soci). Al punto che due parlamentari del Pdl presentarono un’interrogazione urgente all’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano. Uno, il campano Nicola Formichella che era braccio destro di Marcello Dell’Utri, l’ex senatore e fondatore di Forza Italia, tornato in libertà il 2 dicembre scorso dopo 5 anni e qualche mese di carcere; condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per essere stato ritenuto il mediatore del patto di protezione tra Berlusconi e Cosa Nostra. Nel frattempo ha preso 12 anni in primo grado nel processo sulle presunte intese tra Stato e mafia ed è inquisito per la sparizione di alcuni libri antichi (a Napoli). Sette anni della condanna passata in giudicato, diventati cinque e qualche mese grazie alla liberazione anticipata. Tanto è durata la detenzione di Dell’Utri, ex manager di Publitalia. L’altro deputato interrogante era Giancarlo Lehener, eletto in Campania, editorialista de Il Giornale della famiglia Berlusconi.
L’archivio stampa documenta gli articoli che abbiamo scritto negli anni, con nomi e cognomi, compresi giornali e giornalisti, a volte tifosi (?), che seguivano una ‘campagna stampa’ nell’imperiese. Non abbiamo mai ricevuto precisazioni, rettifiche, diffide, querele, citazioni in sede civile. E il nostro dovere non era di bilanciare chi aveva ‘sposato’ certe tesi, con un accanimento non comune verso un togato che negli anni aveva seguito inchieste delicate, difficili, scottanti, nel ponente ligure. E che non aveva certo il dono dell’infallibilità. E’ stato giovane magistrato inquirente alla Procura di Savona,poi di Imperia, giudicante (penale e civile) alla pretura di Albenga e al tribunale di Savona. Il nome di Maffeo, come quello della stragrande maggioranza dei togati, non figurava coinvolto nel malaffare, nelle ‘zone grigie’, non era neppure attivista del sindacato o alla corte dei ‘poteri forti’, non frequentava salotti e lobby più o meno massonici.
E ora leggiamo che “nella fretta di informare, allora, agimmo (giornalisti de La Riviera) con foga eccessiva. Il tempo aiuta a valutare e comprendere”. La cronaca, soprattutto sul terreno giudiziario, non è semplice, l’errore è sempre possibile. Ed è probabile che si sia ecceduto in buona fede. Da qui il “riconosciamo, ora, serenamente, alcune nostre mancanze professionali (chi è senza peccato… ndr), seppure all’epoca da noi non volute, che stridono con il dovere di informare correttamente, con equilibrio e senza enfasi, richiesto dalla nostra professione. Errori che ci hanno insegnato molto e dei quali abbiamo fatto e faremo tesoro in futuro”. E in conclusione: “In nessuno degli articoli per i quali siamo stati chiamati a rispondere in sede penale (non sono stati comunque gli unici ad essere querelati ndr) si sono mai messe in dubbio le capacità professionali e l’integrità del dottor Maffeo nel suo ruolo di magistrato attento al bene della comunità, per la quale ha svolto il suo incarico di pubblico ministero alla Procura della Repubblica di Imperia”.
Nessuno dei denunciati (una decina) ha potuto addebitare a Maffeo la pratica delle ‘liti temerarie‘, il sempre più frequente ricorso a cause civili intimidatorie contro giornalisti. Una vera e propria piaga contro la libertà di stampa. In Senato si sono concluse le audizioni del ddl. Un articolo introduce la punibilità di chi chiede soldi al solo scopo di intimidire i giornalisti. La malafede di queste cause intentate a costo zero dall’effetto potenzialmente micidiale si vede nel loro esito, cioé quasi sempre il proscioglimento del giornalista. Pende una proposta di legge per introdurre nell’ordinamento italiano l’istituto della “querela temeraria”. Si compone di un solo articolo, che interviene sul codice di procedura civile. (L.Cor.)
ARTICOLO DI SCUSE E CHIARIMENTI PUBBLICATO DA LA RIVIERA DEL 5 DICEMBRE 2019