A pochi chilometri i baccanali d’agosto, lungo la Riviera affollata e festaiola. Sagre per tutti i gusti, dal mare all’entroterra. In piazzetta della chiesa a Peagna, invece, si respirava relax tra amici e i profumi di 34 portate culinarie ‘fai da te’. Nulla a che vedere con la sagra dei turchi. Semmai calore umano e semplicità capaci di far riviere i vecchi tempi quando tutti eravamo bambini, lo spirito di comunità non era optional. La dignitosa povertà post bellica era solidarietà. Cosa è rimasto ? Peagna derubata dei suoi valori dalla moderna civiltà. I peagnoli testimoni dei tempi ? Presenti solo due Nando e Nico. Poi i fratelli delle Muragne: Franco, Gianni e Marilena. Gli altri erano i benvenuti delle nuove generazioni.
Il più commosso, ma non lo dava a vedere, era Luciano, capelli grigi dagli anni, serbatoio di infiniti ricordi. Non c’era Peppino il volontario dell’Associazione alpini, tra i delusi di ‘come siamo diventati‘. Non c’era Domenico che ha fatto carriera nello staff tecnico del Santa Corona. Una tiepida serata di inizio agosto, sotto le stelle, la luna a fare la guardia. Per pochi ’intimi’ il racconto ‘ come eravamo’. Peagna con la luce nelle case (allora contattori Cieli), senza illuminazione, strade polverose o ciottolate, prive di asfalto. Una fontana per tutte le famiglie sulla piazzetta della chiesa, un abbeveratoio per il bestiame sull’attigua ‘piazza’ dove oggi si affaccia il teatro all’aperto. Solo tre 0 quattro famiglie avevano ‘vc’ alla turca; nè doccia, nè vasca da bagno. Si utilizzavano la stalla o il letamaio, l’orto. Il camminetto o la stufa a legna per cucinare, scaldarsi d’inverno, il forno a legna per cuocere il pane o nelle festività solenni i dolci casalinghi, oppure la torta di patate, di bietole, di zucche, o ancora gli squisiti e saporiti ripieni di cipolle, zucchine.
Il bucato si lavava ad Anthia, due vasche lavatoio (i troggi). Non c’erano negozi, ma la rivendita di sale e tabacchi ( u Tanacca). Il primo negozietto- bar arriverà negli anni ’70 per essere poi chiuso. Da un paio d’anni, finalmente, ha aperto il bar a corredo del piccolo teatro, arena comunale. La prima auto, a Peagna, risale all’inizio degli anni ’50, la Topolino, poi una Balilla, una Lancia. Negli stessi anni la Vespa 125, la Gilera 150, la Lambretta 125, le biciclette. La maggioranza delle famiglie poteva contare su un carro trainato dal mulo e più raramente da un asino, in tre o quattro casi dal bue.
L’unico svago domenicale o festivo, per la mezza età e gli adulti, era il campo di bocce, attrazione anche per i più piccoli che assistevano divertiti. L’hobby più praticato la caccia. Ogni famiglia, con poche eccezioni, aveva uno due o anche tre cacciatori; possedevano un calibro 12 o 16. I ragazzi, nella stagione venatoria, attendevano l’arrivo dei signori ‘genovesi’ esperti ed appassionati di caccia agli uccelletti migratori: fringuelli, cardellini, tordi, verdoni, starne, merli. La ricompensa era la raccolta delle cartucce esplose ed abbandonate. Si portavano a casa per darli a papà o al nonno che li riutilizzavano dopo la ricarica manuale. In quegli anni era anche pratica da ragazzi dar la caccia ai nidi di uccellini che allora abbondavano, oggi rarissimi. Per i bimbi un altro svago era la raccolta, in prossimità del periodo pasquale, delle ‘purasse‘. Venivano da fuori a comprarle, nascevano soprattutto nei terreni coltivati ad oliveti, nelle rive scoscese. Le bimbe si dedicavano alla raccolta delle violette selvatiche richieste da ambulanti forestieri. Il momento clou restava la raccolta, rigorosamente a mano, una per una, delle olive, sacchetto – contenitore allacciato a giro vita.
Non c’erano i bidoni dell’immondizia. Ognuno si arrangiava. Per alcuni decenni la periferia di Peagna, a ponente, ha ospitato la discarica a cielo aperto di Ceriale.
Le famiglie più agiate, chiamiamole così, si contavano sulle dita di una mano. Potevano disporre del frantoio per olive e olio, del torchio per l’uva ed il vino. Le prime a far fortuna si erano trasferite alle Muragne, lungo la vecchia Aurelia di ponente, ai confini di Albenga. Peagna che nel Dopoguerra aveva il suo parroco, don Pietro Menini che verrà trasferito a Bastia d’Albenga, mantenendo il posto in Curia, sostituito da don Bellocchio, infine dall’ormai mitico di don Fiorenzo Gerini memoria storica e non solo. Messo a riposo lo scorso anno dal vescovo Mario Oliveri che non ha voluto farsi mancare neppure questa ‘perla’ nei suoi 25 anni di episcopato. L’ottantenne ex economo della Curia ha obbedito, quasi tacendo e accogliendo il successore don Cosimo Quaranta. Dagli anni ’50 fino agli anni ’70 diceva Messa anche con De Negri, che aveva acquistato la tenuta del generale Caviglia per realizzare quello che aveva denominato Villaggio Santa Maria Belfiore dove non era ospitati orfanelli o orfanelle, ma nei primi anni si confezionavano piccoli contenitori di lavanda profumata da inviare a migliaia di indirizzi di benefattori. Non è mai stata scritta la vera storia di don Angelo De Negri, origini a Pieve di Teco, al quale il Comune di Ceriale ha dedicato uno slargo, alla memoria, con targa recante il nome sbagliato (Giacomo De Negri).
Peagna dei ricordi narra l’arrivo delle rondini, prendevano dimora, con i nidi, sotto un paio di porticati. Di notte si ‘ascoltava’ la civetta. Si racconta che dopo la prima Grande Guerra, nell’edificio della ‘bandia’ (proprietà U Finun) che ospitava due famiglie di pastori di Viozene, accadde un episodio particolare. Mentre si recitava il Santo rosario, come era nella tradizione, nella stanza ed al capezzale del defunto, una civetta con insolita insistenza non dava tregua all’esterno della casa. Il suo ‘canto’ porta sfortuna secondo un detto popolare. E fu la conferma. Ad un certo punto il pavimento cedette e la salma, con gli astanti in preghiera, si ritrovarono al piano di sotto, nella stalla, Nessuna grave conseguenza, piccole ferite. Per anni, a Peagna, la civetta sinonimo di disgrazia. C’erano le volpi che con frequenza facevano visite ai pollai, solitamente vicino alle case. Le lepri erano invece un gustoso bottino. Rari i cinghiali e comunque oltre i confini delle colline. I lupi in pochi li ricordano.
Non mancavano i personaggi buontemponi, almeno tre per la gioia da ‘scherzi a parte’: ’u Carachettu’, ’ Romulu’, ‘u Lenciu’. Una delle famiglie più umili del paese, per anni, ha vissuto in una stalla, con conigli e galline: locali anneriti dal focolare, il tavolo rustico per i pasti, materassi di foglie di granoturco, coperte senza lenzuola.
La dignità collettiva faceva si che l’armonia e la tolleranza, il rispetto, la fede, le tradizioni religiose e popolari, fossero patrimonio comune, con qualche eccezione e poche esagerazioni. Vita mondana senza pretese. Le serate da ballo, un paio all’anno; la Madonna di Capriolo era l’appuntamento più affollato, attirava gente dalla pianura, dal comprensorio. Il falò si accendeva la vigilia di San Giovanni Battista (festa del Santo patrono), a San Pietro in un vasetto d’acqua fuori dalla finestra, il bianco dell’uovo e al mattino si ammirava la ‘barca’ del santo pescatore. A Natale era usanza che i bambini facevano il giro delle case, delle famiglie per la recita della poesia e ricevevano un piccolo, graditissimo obolo in denaro. La settimana santa i chierichetti, causa silenzio delle campane, si prodigavano con le batole (raganelle) casarecce.
Peagna che nel tempo ha perso, tra i bambini diventati adulti, Carlo, Ivano (il fratello maggiore Severino ucciso da tumore al cervello a 15 anni dopo atroci sofferenze), Giampiero direttore di banca. Ci hanno lasciati anzitempo, qualcuno li ricorda, i parenti li piangono, ma Peagna, in maggioranza, resta pigra ed indifferente, rapinata dai suoi valori. Tutto il mondo è paese. Orfani di quel focolare che la civiltà ha strappato alla storia, derubando molte usanze, il collante della comunità, si è rinnovata nel tempo, in senso positivo, la cantoria. Voci femminili ha ‘cancellato’ il coro che nei tempi vedeva prima voce ‘u Perpellin (Pedrinin)’. Ma non erano ancora anni dei robot umani spesso senza cuore e senza anima. Nostalgia ? Rimpianti ? Ciao Peagna, disiscriviti dall’albo degli ingrati smemorati. Terra di ‘foresti’ benvenuti. Loro non sanno quanto fosse bella la semplicità! Con virtù e difetti degli umili, di chi ha faticato, sudato, si è sacrificato per i figli e che riposano nel sonno eterno. Presto, per la ricorrenza del 2 novembre, andremo a trovare. (L.C.)
Post Scriptum: Un sorriso non costa niente e produce molto. Arricchisce chi lo riceve senza impoverire chi lo da. Dura solo un istante ma talvolta il suo ricordo è eterno. Nessuno è così ricco da poterne fare meno, nessuno è così povero da non meritarlo. Crea la felicità in casa, è segna tangibile di amicizia. Un sorriso da riposo a chi è stanco, rende coraggio ai più scoraggiati, non può essere comprato, nè prestato, nè rubato, perchè è qualcosa di valore solo nel momento in cui viene dato. E se qualche volta incontrate qualcuno che non sa più sorridere siate generosi: dategli il vostro, perché nessuno ha mai bisogno di un sorriso quanto colui che non può regalarne ad altri.